Quella di viaggiare è una sindrome: lo conferma anche la scienza

È un desiderio irrefrenabile che nasce da dentro e che ci porta a viaggiare, e poi a farlo ancora. La scienza conferma che si tratta della sindrome di wanderlust, e che è nel nostro DNA

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor

Una laurea in Storia dell’arte, un master in comunicazione e giornalismo e una vocazione per la scrittura, scova emozioni e le trasforma in storie.

Organizzare un viaggio non è solo un modo per esplorare le meraviglie del mondo che abitiamo e per toccare con mano le culture e le tradizioni di popoli diversi dal nostro, ma è un vero e proprio regalo che facciamo a noi stessi. Alla nostra anima e al cuore.

Una sorta di terapia che ci concediamo quando sentiamo la necessità di ritrovare noi stessi, di guarire dalle ferite, di trovare un rifugio nel mondo lì fuori quando tutto intorno a noi sembra crollare. Ma è anche un modo per crescere, evolvere, superare i nostri limiti e imparare a essere felici, di nuovo.

La verità è che sono molte le persone che sentono dentro un desiderio irrefrenabile di viaggiare, e poi di farlo ancora, che non sanno spiegare, scegliendo addirittura di modificare la propria vita per non smettere di girare il mondo. E non si tratta solo di un desiderio da assecondare o di un sogno da realizzare, ma di una vera e propria sindrome confermata anche dalla scienza, quella di wanderlust.

La sindrome di wanderlust

Sentiamo spesso utilizzare la parola wanderlust, sopratutto tra i viaggiatori più incalliti. La leggiamo sui libri, la ascoltiamo nei film e poi, ancora, la guardiamo trasformarsi in un hashtag su Instagram. Ma cosa significa quella parola tanto cara agli avventurieri del mondo?

Il termine, di origine tedesca, fa riferimento a un sentimento, e più nello specifico al desiderio irrefrenabile di viaggiare. Wandern, infatti, vuol dire vagare, mentre Lust significa desiderio. La prima apparizione della parola wanderlust sembra risalire al 1800, quando l’artista Friedrich Rücker la usò nella sua poesia Die drei Quellen.

Oggi, quando parliamo di wanderlust, facciamo riferimento a quella necessità di viaggiare ed esplorare il mondo, di andare oltre a ciò che conosciamo per superare i confini e per soddisfare quella incontrollabile voglia di scoperta.

Non è raro vedere accostare la parola wanderlust a quella di sindrome. Le persone che hanno scelto di trasformare il viaggio in uno scopo della vita, infatti, parlano di questo desiderio come una manifestazione improvvisa e inspiegabile che nasce da dentro, e che li porta a non stare mai fermi nello stesso luogo.

E in effetti, a guardare ciò che dice la scienza, sembra proprio che quel vagabondare perpetuo sia un bisogno che appartiene ai geni che sono scritti nel DNA di alcuni esseri umani.

Quella di viaggiare è una sindrome: la ricerca scientifica

Da anni, la scienza, indaga gli esseri umani e i loro comportamenti per cercare delle risposte a tutti quei quesiti che ci poniamo giorno dopo giorno. Ha fatto lo stesso con i viaggiatori, per provare a comprendere cosa si nasconde dietro quel bisogno di viaggiare che non può essere soffocato, né tanto meno ignorato.

Confrontando diversi studi che si sono susseguiti negli anni, abbiamo scoperto che la sindrome di wanderlust esiste davvero, ed è strettamente collegata ai nostri geni. La colpa, se di colpa vogliamo parlare, è del gene DRD4, recettore della dopamina, che secondo lo scienziato JB Lichter provoca proprio questi impulsi. Il DRD4, ribattezzato gene del viaggio, si trova in circa il 20% della popolazione mondiale (Schilling, Walsh e Yun, 2011).

Si tratta di un’irrequietezza interiore che può essere calmata solo organizzando un nuovo viaggio e andando alla scoperta di luoghi vicini o lontani che possano soddisfare un desiderio primordiale che è scritto nel nostro DNA. L’unico rischio che correte, se siete affetti dalla sindrome di wanderlust, è quello di non riuscire più a fare a meno di viaggiare.