Nanga Parbat: l’odissea degli alpinisti sulla montagna mangiauomini

"E' incredibile la calma e la serenità che era in grado di trasmetterci Karl". "Ho cercato il viso, l'ho liberato dalla neve. Il volto era quello di sempre, sereno e contento" raccontano Nones e Kehrer

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Redazione

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Un’odissea durata dieci giorni sulla parete Rakhiot del Nanga Parbat (8.125 metri slm), Walter Nones e Simon Keher, gli alpinisti altoatesini, hanno raccontato cosa hanno vissuto tra quelle vette dell’Himalaya.
Il momento del salvataggio con gli elicotteri pakistani e la drammatica perdita dell’amico e capocordata della spedizione, Karl Unterkircher, caduto in un crepaccio durante la scalata alla parete Rakhiot. Per l’alpinista non c’è stata nessuna possibilità di essere soccorso dai suoi compagni di cordata che, dopo una nottata all’addiaccio nel tentativo di salvare il loro amico, hanno scelto di continuare con la scalata.

Ecco alcuni punti della spedizione tragica sul Nanga Parbat, raccontati dai due alpinisti e resi pubblici dal Corriere:
Simon Kehrer -“Vi piace? Non è bellissimo?” ci ha detto Karl. Da lontano io e Karl abbiamo individuato un posto per la tenda. Gli ho detto di stare attento, che sembrava una crepacciata e lui: “Vado a vedere”. Sono le ultime parole che gli ho sentito pronunciare. A un certo punto è sparito nella neve. Non l’ho sentito gridare, non ho sentito nulla.
Walter Nones – Sono corso, ho urlato come un pazzo, ma Karl non rispondeva e non lo si vedeva. Non sapevamo che fare perché la corda ce l’aveva Karl nel suo zaino. Allora abbiamo preso tutte le fettucce e i cordini formando un’unica fune di una quindicina di metri. Simon si è legato e io l’ho calato.
Simon Kehrer – Mi sono calato nel crepaccio. C’era un vuoto di almeno 30 metri. Ho cercato il viso, l’ho liberato dalla neve. Il volto era quello di sempre, sereno e contento. Ho avuto l’impressione che Karl si fosse rotto l’osso del collo, ma il suo volto era felice.

Ma Unterkircher se lo sentiva. Una sfida del genere è una scelta tra la vita e la morte. Nella sue ultime mail, scriveva: “Sono le scariche di ghiaccio che mi fanno paura. La cosa migliore per evitare sgradevoli imprevisti, sarebbe rinunciare al progetto“. E ancora, “Sono sdraiato nella mia tenda e provo a leggere. Ma non riesco a concentrarmi, la mia mente è fissata su quella parete. La parete Rakhiot, su quello stramaledetto seracco in mezzo alla parete. In quella fascia di ghiaccio, che ci ostruisce la via di salita”. (Dal sito ufficiale del capocordata)

Situato al limite orientale dell’Himalaya pakistano, il Nanga Parbat è la nona cima più alta del mondo, e forse la più pericolosa e più affascinante. Nanga Parbat significa montagna nuda in Urdu (lingua nazionale del Pakistan), mentre per le popolazioni che vivono nelle regioni himalayane è la montagna mangiauomini o la montagna del diavolo. Infatti nessun’altra vetta ha mietuto tante vittime come il Nanga, dove morì nel 1970 il fratello di Reinhol Messner, Gunther.