Le spiagge italiane che rischiano di scomparire entro il 2050

Fra meno di 30 anni il 50% delle spiagge di una regione italiana potrebbe scomparire per sempre: cosa possiamo fare per evitare questo drammatico evento

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Serena Proietti Colonna

Travel blogger

PhD in Psicologia Cognitiva, Travel Blogger, Coordinatrice di Viaggio e Redattrice Web di turismo, una vita fatta di viaggi, scrittura e persone

C’è una regione del nostro Paese che vanta ben 361 chilometri di litorale, spesso sabbioso e in alcuni tratti bagnato da un limpido Mar Tirreno, che purtroppo è in pericolo. Secondo un recentissimo studio, infatti, la metà delle spiagge di questa regione rischia di scomparire entro una data non troppo lontana: il 2050, e nei 50 anni successivi gli scenari si preannunnciano persino peggiori.

Lo studio

Lo studio riportato da La Repubblica è stato condotto dal professor Filippo Celata, geografo della Sapienza di Roma e membro del direttivo della Società geografica italiana, elaborando le stime di una ricerca effettuata sull’argomento e pubblicata sulla rivista scientifica Nature climate change. Sono delle analisi che prendono in considerazione due urgenti variabili, ovvero l’innalzamento del livello del mare e i processi erosivi che purtroppo sono già in corso da decenni.

La regione italiana che è stata oggetto di indagine è il Lazio, e gli scenari che emergono, sfortunatamente, non sono affatto rassicuranti: tra meno di 30 anni, e per la precisione nel 2050, fino al 50% delle spiagge della regione del Centro Italia rischia di sparire, arretrando di ben tre quarti rispetto all’arenile di cui godiamo oggi. Nella peggiore delle ipotesi possibili, quindi, la metà delle spiagge laziali diventerà solo un ricordo, mentre nella migliore sarà il 10% dei litorali a dissolversi praticamente del tutto.

Non solo il Lazio

Il Lazio, però, non è l’unica regione italiana a dover combattere con questo fenomeno. Come sottolinea lo studio, la superficie di spiagge a rischio scomparsa è in linea con la media nazionale (che comunque è un dato estremamente preoccupante). Il vero problema sarà nel nel 2100, quando la situazione peggiorerà sensibilmente.

Secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, i dati sull’erosione costiera e sul consumo di suolo sono allarmanti in tutto lo Stivale, isole comprese: tra il 2006 e il 2019 sono stati modificati 1.771 km di costa naturale bassa su 4.706 km in totale, pari al 37,6%.

I motivi sono da ricondurre al fatto che in Italia si continua ad intervenire con opere come pennelli e barriere frangiflutti, arrivando in totale a ben 10.500 opere rigide lungo le coste italiane, quasi 3 ogni 2 chilometri costieri, che rendono artificiale la linea del litorale e che vanno a modificare le correnti marine. Facendo in questa maniera il problema non scompare, ma si sposta semplicemente su altri tratti di coste.

Inoltre, il consumo di suolo nei comuni costieri è pari ad oltre 420mila ettari al 2021, che corrisponde al 27% del totale di suolo consumato in Italia, con un incremento vicino al 6% rispetto al 2006. Poi ci sono le inondazioni, e nel nostro Paese sono 40 le aree a maggior rischio, così come l’abusivismo edilizio. Senza dimenticare gli eventi meteo estremi che, dal 2010 al giugno 2023, solo nel nostro Paese sono stati 712 e di questi il 37,3% è avvenuto nei comuni costieri.

In sostanza, entro il 2100 e con il livello del mare cresciuto di 50 centimetri, il Lazio potrebbe raccogliere i frutti peggiori di questa situazione assieme a Sardegna e Campania con un terzo di spiagge a rischio scomparsa nello scenario migliore, l’80% in quello più drammatico.

Cosa possiamo fare

Ciò che in questo momento occorre fare, come si può leggere sempre sul quotidiano, è analizzare le variabili che se risolte possono rendere anche la meno rassicurante delle previsioni uno scenario più sostenibile.

Per evitare il peggio bisognerebbe perciò puntare a interventi di mitigazione rinaturalizzando i litorali, e non artificializzandoli come in realtà si sta facendo ormai da anni.