I luoghi più belli del mondo da visitare almeno una volta nella vita

Ci sono luoghi del mondo celebri per i loro monumenti simbolo o per le loro bellezze naturali: ecco una lista dei 10 da non perdere

Pubblicato: 30 Maggio 2020 11:25

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SiViaggia

Redazione

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Immaginate di avere a disposizione tempo illimitato, budget illimitato e il mondo intero da scoprire e da esplorare. Quali sono dunque i 10 luoghi più belli al mondo che si dovrebbero visitare almeno una volta nella vita? Questi sono i nostri.

Angkor Wat: un viaggio dentro l’anima della Cambogia

Il monumentale complesso di Angkor Wat (Tempio della Città in Khmer) è il più grande complesso religioso del mondo e rappresenta il centro culturale e politico dell’antica città di Angkor, capitale dell’impero Khmer tra IX e XV secolo. Il sito, costruito tra 1113 e il 1150 per volere del sovrano Suryavarman II rappresenta la massima espressione della civiltà Khmer, dalla quale discende l’attuale Cambogia. Angkor Wat, il cui profilo compare anche sulla bandiera nazionale, si trova oggi nei pressi della città Siem Reap e fa parte del patrimonio dell’Umanità Unesco. L’armoniosità della sua struttura, un connubio unico tra architettura e spiritualità, può essere paragonata soltanto all’architettura greca e romana.

Principalmente costituito da pietra arenaria, il complesso presenta inconfondibili torri ogivali a forma di bocciolo di loto, terrazze cruciformi e una moltitudine di devata (o apsara) bassorilievi decorativi raffiguranti storie e leggende tratte dalla religione induista e motivi floreali. Soffermarsi su queste decorazioni e sull’ordine quasi metafisico della sua architettura si trasforma in un viaggio dentro al viaggio e un richiamo alla spiritualità. Il complesso è un enorme quadrilatero circondato da un fossato, al centro del quale si trova il tempio vero e proprio. Tre gallerie si alzano verso la torre centrale con aperture, dette gopura, a ogni punto cardinale. Le gallerie interne, dette bakan, hanno una torre a ogni angolo sovrastate da quella centrale alta 65 m da terra. In questo modo le torri del tempio formano il tipico quincunx che riprende esattamente il profilo del monte Meru, la montagna degli dei Indù, che ha infatti 5 vette distinte.

Macchu Picchu: la città inviolata degli Inca

Le rovine della città millenaria di Macchu Picchu, o Machu Pikchu (vecchia montagna, o cima), inserite dall’Unesco nel patrimonio dell’umanità e perfino nelle sette meraviglie del mondo moderno, lascia a bocca aperta. Reperti archeologici fanno presumere che la città del Perù, forse adibita a residenza estiva dell’imperatore e della nobiltà Inca, fu costruita intorno al 1440 a.C. dall’imperatore Pachacutec e che sia rimasta abitata fino al 1532, anno della violenta conquista del Perù da parte degli spagnoli. Gli Inca fecero in modo che gli invasori non arrivassero mai alla loro città sacra. Per questo Machu Picchu è diventata pressoché una leggenda per i quattro secoli successivi, fino a quando lo storico americano Hiram Bingham la riscoprì, quasi per caso, nel 1911. Per visitare il complesso bisogna raggiungere la cittadina di Aguas Calientes.

Una sensazione da Far West andino assale i visitatori che hanno deciso di pernottare qui e organizzare l’escursione a Macchu Picchu. I più temerari stanno invece percorrendo a piedi l’affascinante Inca Trail tra la vegetazione selvaggia per raggiungere l’Intipunku (porta del sole in quechua), la porta d’accesso al sito dalle montagne. Il risultato è però lo stesso. Di fronte al sito archeologico si rimane quasi affascinati mentre si attraversano le piazze, i templi, i blocchi giganti di pietra incastrati gli uni agli altri senza calce. Potenti e perfetti, questi resti inviolati svelano a ogni passo vasche cerimoniali, grotte sacre interamente scolpite, curiose finestre trapezoidali, il labirintico gruppo delle prigioni con l’oscuro tempio del Condor e l’enigmatica Intihuatana (palo del sole), il pilastro di roccia tramite il quale gli Inca calcolavano il tempo e le stagioni.

La grande Muraglia Cinese: le immortali vestigia di un impero

La sensazione davanti a questi luoghi è sempre la stessa. Puoi averlo visto in migliaia di foto diverse, ma vederlo con i propri occhi è sempre qualcosa di profondamente diverso. La sublime sensazione che assale i visitatori di fronte, o per meglio dire al cospetto, di opere architettoniche così magnifiche, talmente potenti simbolicamente e spiritualmente da spazzare via ogni altra cosa. Sentirsi piccoli e non riuscire più a staccare gli occhi da lì. Che si veda dai satellite o no, quello che importa è la sensazione di osservare la grande Muraglia (Chàngcheng in cinese) cinese dal vivo. Nata con il nome di Wanli Chàngcheng (grande muraglia di 10.000 Lì, dove 1 Lì corrisponde circa a 500 m), anch’essa fa parte del patrimonio Unesco e delle sette meraviglie del mondo moderno. Eretta a partire dal 215 a.C. per volere dell’imperatore Qin Shi Huang – lo stesso del celebre esercito di terracotta di X’ian – la muraria aveva una lunghezza originaria di 8.850 km per uno sviluppo complessivo di ben 21.196 km, considerando ramificazioni e difese naturali.

Oggi sono ancora visibili più di 6.000 km di sole mura e torri di difesa. La muraglia, fortemente ampliata dalla dinastia Ming nel XIV secolo, rappresenta nel mondo la più grande architettura difensiva militare mai costruita e si può dire a grandi linee che corre lungo il confine settentrionale, e in parte occidentale, della Cina. Inizialmente era costruita soltanto di terra battuta, sassi e legno, prima che venisse rinforzata con mattoni, calce e pietra. La straordinaria estensione della Muraglia offre una moltitudine di punti e panorami mozzafiato sul territorio circostante, ma alcuni dei più suggestivi sono senza dubbio quelli nei quali la Muraglia termina in mare, come a Shanhaiguan, oppure sulle gole di Simatai o ancora nei pressi di Jinshanling o di Pechino.

La Monument Valley: la valle immaginifica

Tra Utah e Arizona, negli Stati Uniti, esiste un luogo straordinariamente potente, raccontato, visto, sognato e, da alcuni, vissuto. Percorrendo la Highway 163, le immense guglie rossastre della Monument Valley si staccano dal fondale infinito di cielo azzurro e di nuvole, dalla vastità sproporzionata in cui si rincorrono i miti e i fantasmi del Far West americano, l’esplorazione, gli scontri con gli indiani, la caccia al bufalo, la presunzione di poter piegare la natura sconosciuta alla propria volontà e al proprio desiderio di rivalsa, di ricchezza e di futuro. Roccia e sabbia erosa nei millenni dal vento, dal clima e dalla pioggia hanno disegnato queste guglie piatte, chiamate anche butte o mesas (le più grandi), che torreggiano in questo Tribal Park gestito dalla Navajo Nation Reservation.

All’interno della valle infatti vive ancora oggi una tribù di indiani Navajo che si preoccupa che questo posto venga preservato. Dal centro visite è possibile percorrere la valle in macchina o, per entrare ancora più nel sogno, a cavallo. Lentamente, come una carrellata cinematografica. Le guglie hanno nomi curiosi, suggeriti spesso dalla loro forma: Mitten and Merrick’s butte, Three Sisters, Elephant butte, Camel butte, Rain God mesa, Thunderbird mesa, Sleeping Dragon, Ear of the Wind, Submarine Rock. Un campo lungo, quasi infinito davanti all’impassibilità della natura, come quella che si percepisce dal cinematografico John Ford’s Point, il punto panoramico dedicato al regista che più di ogni altro ha fatto sì che la Monument Valley diventasse lo scenario simbolo del Far West.

Pamukkale: il bianco castello d’acqua

Nell’area sud occidentale della Turchia, a breve distanza dalla cittadina di Pamukkale si trova il suggestivo sito sul quale sorgeva l’antica città di Hierapolis. Questa zona nell’antichità era conosciuta con il nome di castello di cotone in quanto costruita al limitare di una ricchissima zona di fonti termali ricoperte da un ormai celebre e candido strato di calcare e travertino. Questo luogo, protetto e tutelato dall’Unesco, qualche decennio fa rischiava di scomparire a causa di progetti di edilizia molto aggressiva. Oggi l’acqua viene erogata in modo controllato e programmato, per tutelare il sito dal disgregamento (il carbonato di calcio in superficie risulta morbido e friabile) e dalla formazione di alghe che sporcherebbero il bianco candido delle sue vasche naturali.

Il sito termale di Pamukkale è così tornato a risplendere di riflessi abbaglianti e unici, con tutta la loro capacità di emozionare i visitatori, oggi molto più consapevoli, provenienti da tutto il mondo. Bianche e luccicanti, levigate dalla forza dell’acqua nel corso di migliaia di anni, le piscine naturali, disposte in terrazze a gradoni, traboccano di acque dalle proprietà benefiche alla temperatura di 35°C circa. L’idrocarbonato di calcio di cui sono ricche queste acque a contatto con l’aria crea l’inconfondibile sedimentazione che dona alle piscine il loro aspetto quasi magico.

Le piramidi di Giza: perfezione e mistero scritti nelle stelle dell’Egitto

Al limitare della periferia occidentale del Cairo, la necropoli di Giza con le sue stupefacenti piramidi è forse uno dei pochi luoghi al mondo a essere stato considerato patrimonio dell’Umanità prima ancora della fondazione dell’Unesco. Si potrebbe addirittura sostenere che non fa parte delle sette meraviglie del mondo moderno soltanto per democrazia, in quanto fa già parte di quelle del mondo antico e, tra queste, è l’unica a essere arrivata ai giorni nostri. Il valore di questo luogo è inestimabile. Fra tutte le tracce lasciateci dagli Egizi, Giza è di certo la più assoluta e memorabile. La piramide, la tomba dei faraoni, è una scala per arrivare al cielo e gli angoli di essa i raggi del sole che scendono sulla terra. Le proporzioni, la tecnica costruttiva, l’imponenza dei blocchi perfettamente appoggiati gli uni sugli altri hanno davvero qualcosa di soprannaturale, dunque pare quasi naturale non attribuire le piramidi all’opera dell’uomo ma a quella di qualche altro essere nell’universo.

La piramide di Cheope, la più grande che sia mai stata costruita, si erge sull’intera area della necropoli, costituita nel complesso da una ventina di strutture diverse, tra le quali la piramide di Chefren, di Micerino, i cimiteri con le mastabe (tombe monumentali), le tombe delle Regine come quella di Kentkaus, i resti del villaggio degli artigiani che edificarono l’intero complesso e la sempre enigmatica Sfinge, il leone sdraiato con la testa d’uomo. Si dice che la disposizione delle tre piramidi principali (Cheope, Chefren e Micerino) riproduca esattamente la disposizione delle stelle che formano la cintura di Orione. Come una mappa per leggere i segreti nascosti dietro le stelle, le piramidi di Giza non hanno ancora finito di svelare le grandi conoscenze raggiunte dalla civiltà egizia migliaia di anni fa.

Petra: la città perduta dei Nabatei

Il complesso archeologico dell’antica città di Petra rappresenta un affascinante viaggio indietro nel tempo dentro una gola profonda, al termine della quale si apre una vallata di monumentali templi funerari interamente scavati nella roccia del deserto e che fino a pochi decenni fa hanno ospitato intere famiglie di beduini, con i loro bambini e i loro greggi di pecore, abilissime nel discendere pareti di roccia verticali capaci di provocare vertigini sfruttando le innumerevoli spaccature create dagli agenti atmosferici in migliaia di anni. La roccia scavata, scolpita, levigata dalla mano dell’uomo e dal tempo ha portato alla luce venature multicolore che brillano al sole impeccabile di questo deserto di roccia e che nell’antichità valsero alla città il nome di Reqem o Raqmu, la Variopinta. Petra è ricordata per essere stata la capitale dell’antica civiltà dei Nabatei, una tribù nomade araba contemporanea a quelle citate nel vecchio Testamento, che raggiunge il suo massimo splendore molto velocemente, una volta conclusa la sua edificazione, avvenuta intorno al I secolo a.C.

La strada di accesso al complesso, preceduta da un antico letto fluviale, non è altro che una profonda gola scavata nella montagna dove si incanala la luce e il vento, il Sîq. Nel film “Indiana Jones e l’ultima crociata” (1989), l’archeologo percorre a cavallo proprio questo affascinante canyon, prima che la sua ombra si stagli contro la facciata annegata di sole della tomba del Tesoro (al-Khasneh), uno dei monumenti simbolo di Petra e che nel film, invece, custodisce il Santo Graal. Il sito è immenso ma vale la pena esplorarlo in lungo e in largo per scoprire gli altri monumenti estremamente significativi come le tombe Reali che occupano tutta la facciata di una montagna, l’enigmatica altura del Sacrificio (al-Madbah) con i due obelischi alti 6 m anch’essi scavati nella roccia, il teatro Romano, i bellissimi mosaici della chiesa bizantina, la strada colonnata romana, il tempio Grande fino a raggiungere, dopo aver percorso un sentiero in salita l’imponente tomba del Monastero (al-Deir), davanti al quale si aprono le piste che portano a ulteriori sentieri, vie di fuga beduine e punti panoramici che sembrano sospesi nel vuoto.

Basilica di San Pietro in Vaticano: l’apoteosi del Rinascimento italiano

La basilica di San Pietro e l’annesso complesso dei musei Vaticani raccolgono la massima espressione artistica che l’Italia ha lasciato al mondo intero e all’umanità, ovvero quella meraviglia di ingegno e di estro artistico che è stato il Rinascimento. A partire dalla struttura stessa di questa chiesa, la basilica madre del cattolicesimo mondiale, il luogo in cui è sepolto l’apostolo Pietro, sotto la superficie all’interno delle grotte Vaticane. L’ambizioso progetto di papa Giulio II, cominciato nel 1506, culminato nell’immensa cupola disegnata da Michelangelo, sotto alla quale si celano alcuni tra i capolavori assoluti dell’arte italiana: la Pietà di Michelangelo (1499) e il monumentale Baldacchino di Gian Lorenzo Bernini (1624-1633), realizzato con il bronzo del pantheon romano e le quattro inconfondibili colonne tortili che riprendono direttamente il tempio di Salomone.

Bernini è anche l’artefice, tra il 1657 e il 1667, della monumentale piazza e il relativo colonnato che introduce la basilica, come se fosse un lungo e simbolico abbraccio. Quella stagione di grande fervore artistico promossa da Giulio II ha dato inoltre vita ad altri tesori immensi custoditi nei musei Vaticani, gli affreschi e le opere di Giotto, le stanze papali e il palazzo apostolico, per finire con il luogo in cui tutto questo si condensa: la cappella Sistina con il Giudizio Universale (1508-1512) e gli affreschi della volta (1535-1541) realizzati sempre da Michelangelo. Le pareti della cappella non sono di certo da meno, impreziosite da un ciclo di affreschi realizzati dai massimi artisti italiani della seconda metà del Quattrocento: da Botticelli al Perugino, dal Pinturicchio al Ghirlandaio.

Uluru: solo un grande sasso

Uluru (strano in lingua aborigena), in inglese Ayers Rock, è una pietra stupefacente. Il massiccio roccioso più celebre dell’outback australiano, la piatta e selvaggia prateria australiana sulla quale questa enorme pietra si staglia come un moloch o un totem. La strana energia che emana si riverbera tutt’intorno. Una domanda muta, ma colorata. La bellezza di Uluru sta infatti nella sua capacità di cambiare colore a seconda dell’ora del giorno e della stagione. La sua intensa colorazione rossa, visibile soprattutto all’alba e al tramonto, può virare al viola, all’ocra, all’oro e al bronzo, proprio come fosse una pietra magica.

Compreso oggi entro il parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta, Uluru sorge a 450 km da Alice Springs: qualche centinaio di km più a est e si sarebbe trovato nel centro esatto dell’Australia. Per gli aborigeni è un luogo sacro ed è per questo motivo che recentemente erano nate molte polemiche e ora ai turisti non è più permesso salire in alcun modo sul monolito. Lo spettacolo più bello che Uluru può donare ai visitatori è infatti quello a cui si assiste raggiungendolo da lontano, il suo colore che cambia, uniformemente sulla sua superficie, quasi come uno schermo al plasma. Avvicinandosi sempre di più quello strano sasso da piccolo si fa gigantesco, rendendo le leggende e i miti degli aborigeni a ogni passo più veri.

Kruger National Park: a piedi tra i big 5 della savana africana

Il parco nazionale Kruger (Nasionale Krugerwildtuin in lingua afrikaans), con i suoi 20.000 mq, è il più grande del Sudafrica e da sempre è celebre per i suoi safari a piedi e per offrire la possibilità di poter avvistare, se fortunati, i cosiddetti big 5, ovvero i cinque grandi mammiferi africani per eccellenza: leone, leopardo, elefante, rinoceronte e bufalo. L’area protetta appartiene alla biosfera “Dal Kruger ai Canyon” tutelata dal patrimonio dell’umanità Unesco. Abitata dalla tribù indigena dei Boscimani da almeno 100 mila anni in seguito scacciati da altre popolazioni tra cui anche gli arabi, che già nell’IX secolo esploravano la regione del Kruger per alimentare la terribile tratta degli schiavi, per poi cadere nelle mani degli olandesi a partire dal Settecento fino alla scoperta dell’oro, avvenuta verso la fine dell’Ottocento.

Una prima riserva nacque verso il 1898 paradossalmente come riserva di caccia e soltanto nel 1926 il governo inglese istituisce il Kruger National Park, che prende il nome dal leader boero Paul Kruger, come segno di riconciliazione – del tutto simbolica – con la popolazione locale, ormai composta da coloni olandesi (boeri) e nativi indigeni. Oggi nel Kruger gli animali si muovono liberamente attraverso 6 differenti ecosistemi, ciascuno caratterizzato da diversi tipi di vegetazione: vaste savane, boschi di acacie e sicomori, dove oltre ai big 5 è possibile ammirare zebre, ghepardi, licaoni, giraffe, ippopotami, iene, facoceri, gnu, varie specie di antilopi come kudu e impala, coccodrilli, numerose specie di pesci, anfibi e serpenti tra cui il mamma nero, e infine oltre 500 specie di uccelli, in parte migratori in parte stanziali. Camminare nel Kruger permette proprio di sentire il respiro della grande Africa, ciò di cui parla chiunque ci sia stato almeno una volta nella vita: la terra, il cielo e il sole si fanno enormi mentre noi ci ridimensioniamo di colpo di fronte al vasto orizzonte. Torniamo esseri umani.