L’arte dei muretti a secco diventano Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco

“Di grande utilità contro fenomeni atmosferici avversi”: con questa motivazione l’Unesco ha iscritto l’arte dei muretti a secco tra i patrimoni dell’Umanità

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Redazione

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I muretti a secco sono tipici dei Paesi del Mediterrano. Si trovano in Francia, Grecia, Spagna e anche in Italia.

Questa arte rurale ora è stata iscritta nella lista dei Patrimoni culturali immateriali dell’umanità dall’Unesco.

La decisione è stata approvata all’unanimità dai 24 Stati membri del Comitato Unesco che si occupa dell’assegnazione del riconoscimento.

Dopo la coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, è la seconda volta che a divenire patrimonio dell’umanità è una pratica agricola e rurale.

“L’arte del ‘dry stone walling’”, si legge nella motivazione dell’Unesco “riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassando le pietre l’una sull’altra, non usando alcun altro elemento se non terra a secco. Si tratta di uno dei primi esempi di manifattura umana ed è presente a vario titolo in quasi tutte le regioni italiane, sia per fini abitativi sia per scopi collegati all’agricoltura, in particolare per i terrazzamenti necessari alle coltivazioni in zone particolarmente scoscese”.

Il muretto a secco è stato il primo esempio di manufatto umano e, in realtà, è presente in tutte le culture del pianeta. Rappresenta il primo tentativo di modificare l’ambiente per ricavarne un qualsiasi uso, sia per costruire un riparo sia per delimitare un luogo. È presente nelle costruzioni religiose, come nel caso degli altari costruiti dai patriarchi ebrei di cui si parla nella Bibbia, sia nei nuraghi in Sardegna.

Gli antichi Greci e Rromani costruivano muri a secco sia perché erano più economici sia perché più facili da costruire. Per questa ragione anche oggi si possono ancora trovare i molti luoghi di campagna.

Il nuovo riconoscimento che premia anche l’Italia va ad aggiungersi quindi alla Dieta mediterranea Patrimonio Unesco dal 2010, alla coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria del 2014 e all’arte del “Pizzaiuolo Napoletano” del 2017.

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