A Viterbo, nuovo itinerario sulle tracce di Dante

Chi la studiato la "Divina commedia" ricorderà sicuramente quanta attenzione abbia dato Dante alla città di Viterbo. Altrimenti, leggete qui

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Ilaria Santi

Giornalista & Travel Expert

Giornalista, viaggia fin da quando era bambina e parla correntemente inglese e francese. Curiosa, autonoma e intraprendente, odia la routine e fare la valigia.

Chi la studiato la “Divina commedia” ricorderà sicuramente quanta attenzione abbia dato Dante alla città di Viterbo e alle terme edificate intorno alla sorgente d’acqua sulfurea del Bullicame (l’antico Bulicame), ma anche alle numerose figure che hanno legato il proprio nome alla città.

In occasione dell’anno dantesco e dei 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, la città dei Papi inaugura un nuovo itinerario intitolato “Viterbo e Dante”, con nove paline dedicate all’Alighieri, posizionate in corrispondenza dei luoghi legati alla Commedia e al poeta fiorentino, con immagini e descrizioni, anche tradotte in quattro lingue, realizzate dagli studenti dei licei coinvolti nell’originale progetto culturale.

L’itinerario dantesco

L’itinerario, che è possibile seguire in completa autonomia, comprende altrettanti punti della città ed è possibile leggere le descrizioni attraverso i QR code dal proprio smartphone: il punto di partenza è piazza San Lorenzo, seguono poi Bulicame, piazza Martiri d’Ungheria, piazza Benedetto Croce, Porta Romana, San Francesco, piazza del Gesù e Santa Maria Nuova.

Una suggestiva citazione del complesso termale del Bulicame di Viterbo è nel XIV canto dell’Inferno (ai versi 79-80): “Tacendo divenimmo là ‘ve spiccia /Fuor della selva un picciol fiumicello, / lo cui rossore ancor mi raccapriccia. / Quale del Bulicame esce il ruscello / che parton poi tra lor le peccatrici, / tal per la rena giù sen giva quello. / Lo fondo suo ed ambo le pendici / fatt’era ‘n pietra, e’ margini da lato: / per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici”.

Il termine “peccatrici” ha provocato interpretazioni differenti; alcuni critici, infatti,  ritengono che si tratti di un errore di scrittura e che vada letto come “pettatrici”, cioè le pettinatrici di lino e canapa, la cui macerazione aveva luogo appunto nelle piscine derivate dal Bulicame. Erano contadine dedite all’imbianchimento, alla battitura, alla macerazione e alla pettinatura delle fibre di canapa, da cui ricavavano matasse adatte al trasporto e al commercio. Storicamente si tratta di un riferimento congruo: nel Medioevo, infatti, a Viterbo c’era un commercio delle fibre di canapa molto florido.

I riferimenti a Viterbo nell’Inferno

Altro riferimento a Viterbo viene fatto da Dante nel canto XXXIII dell’Inferno, quello dei traditori della patria, degli amici e dei commensali, detto anche canto del conte Ugolino. Vi troviamo sia il conte Ugolino della Gherardesca sia l’arcivescovo Ruggieri. Proprio quest’ultimo, Ruggieri degli Ubaldini, è una figura legata a Viterbo. È un ecclesiastico pisano, sepolto a Viterbo che, con tradimenti e manovre politiche, riuscì a eliminare i capi guelfi della sua città, in particolare Ugolino della Gherardesca.

Viterbo nel Purgatorio dantesco

Sono almeno cinque, invece, i pontefici citati nella “Divina commedia” legati a Viterbo, o perché vi abitarono o perché vi furono sepolti (non a caso è della “città dei Papi“). E non solo nell’Inferno, ma anche nel Purgatorio. Qui, nel canto XXIV (definito anche il canto di Bonagiunta Orbicciani), nella seconda parte dedicata ai golosi si parla di San Bonaventura e dei pontefici eletti quando il capoluogo laziale era sede del papato. Vi troviamo Martino IV, che, una curiosità, andava matto per le anguille del Lago di Bolsena. Martino IV fu pontefice dal 1281 al 1285. Nato in Francia (il suo vero nome è Simon de Brion), Dante lo definisce di Tours (‘dal Toro’), poiché qui fu tesoriere della cattedrale.

Nel canto XIX (vv. 99 – 105), quello degli avari e dei prodighi, troviamo la figura di Papa Adriano V, pontefice per un solo mese. Il suo breve pontificato lo vide molto legato a
Viterbo, dove visse e fu sepolto. Qui, infatti, vi si traferì nell’agosto del 1276 per sfuggire al caldo estivo di Roma e andò a risiedere nel grande convento francescano vicino alla Basilica di San Francesco alla Rocca. Pochi giorni più tardi, morì e le sue spoglie riposano nella stessa basilica.

Viterbo vede un altro suo Papa citato nella “Divina commedia”. Si tratta di Clemente V, legato alla vicenda di Manfredi nel canto III del Purgatorio (“Io mi volsi ver lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso. …
Quand’i’ mi fui umilmente disdetto D’averlo visto mai, el disse: “Or vedi”; e mostrommi una piaga a sommo ‘l petto. Poi sorridendo disse: Io son Manfredi”). Di Clemente V è noto il legame con alcuni eruditi del tempo, come Bacone e Tommaso d’Aquino, che chiamò e invitò a Viterbo per dei cicli di predicazioni nella chiesa di Santa Maria Nuova. Sin dalle prime fasi del suo Pontificato, trasferì la Corte papale a Viterbo, si insediò a Palazzo Vescovile, lo fece ristrutturare e lo chiamò Palazzo papale. In principio fu sepolto nella Cattedrale di Viterbo, poi, nel rispetto delle sue volontà, fu portato nella chiesa domenicana di Santa Maria in Gradi e infine nella Basilica di San Francesco alla Rocca, dove si trova tuttora, vicino alla tomba di Papa Adriano V.

Viterbo e il Paradiso della “Divina commedia”

Dobbiamo arrivare fino al canto XII del Paradiso, al cielo del Sole, tra i 12 beati degli
spiriti sapienti, per trovare un’altra figura legata a Viterbo. Si tratta di Giovanni XXI, alias Pietro Ispano, citato al verso 135: “Udo da San Vittore è qui con elli, / e Pietro Mangiadore e Pietro Ispano, / lo qual già luce in dodici libelli”. Unico Papa portoghese della storia (non a caso gli è stata intitolata una delle vie più importanti di Lisbona), è molto stimato da Dante, tanto che è l’unico pontefice dei suoi tempi a trovare posto in Paradiso. Morirà a Viterbo il 20 maggio del 1277.

Il Papa ebbe un rapporto meraviglioso con questa città, di cui si innamorò tanto da
volervisi stabilire. Nel Palazzo papale si fece costruire una grande stanza con una splendida vista, che adibì a camera da letto e a studio. La sua tomba si trova tuttora nella Cattedrale di Viterbo.

Infine, c’è un’altra figura del canto XII del Paradiso, sempre tra i sapienti, legata a Viterbo Si tratta di San Bonaventura. La sua presentazione è significativa, anche in pochi versi (vv. 127-129): “Io son la vita di Bonaventura / da Bagnoregio, che ne’ grandi offici / sempre prospuosi la sinistra cura”. Nato a Civita di Bagnoregio, anche nota come la “città che muore”, nella Tuscia, fu Cardinale, filosofo e teologo. È ritenuto uno dei più importanti biografi di San Francesco d’Assisi e fu spesso a Viterbo per tenere dei sermoni.

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Fonte: 123rf
Una splendida vista di Viterbo