C’era una volta, tanto tempo fa, una danza antica e sensuale protetta e preservata da un Paese e dai suoi abitanti. C’è oggi quello stesso ballo che è stato riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio Culturale immateriale dell’intera umanità.
Il suo nome è Moutya ed è la danza tradizionale legata indissolubilmente alle Seychelles. L’arcipelago di 115 isole nell’oceano Indiano, al largo dell’Africa orientale, è già noto per le spiagge incantate, per le barriere coralline e le riserve naturali, ma anche per la splendida biodiversità caratterizzata dalla presenza di alcuni animali rari. Èd è proprio qui, tra le bellezze di questo paradiso terrestre, che c’è una tradizione tanto antica preservata dai suoi abitanti.
La danza Moutya è stata così riconosciuta, dopo anni, come patrimonio mondiale e culturale da tutelare e celebrare. Quel ballo nato tra gli schiavi africani, all’ombra delle luci della notte, è un tesoro che appartiene all’umanità intera.
Patrimonio Culturale immateriale: la danza Moutya
Il patrimonio culturale che appartiene al mondo, e che dai suoi abitanti è stato creato, non riguarda solo gli oggetti, le sculture e i monumenti, ma anche tutte quelle tradizioni che caratterizzano in maniera univoca un territorio, piuttosto che una popolazione. Così linguaggi, arti dello spettacolo e artigianato, rituali e feste sacre sono entrati a far parte della lista del Patrimonio Culturale immateriale dell’UNESCO.
Tra questi troviamo anche la danza. Prima il tango argentino, poi i balli baltici e oggi la Moutya, la danza antica e sensuale legata da secoli all’arcipelago delle Seychelles. Un traguardo, questo, di un valore sociale importantissimo se consideriamo che neanche molto tempo fa, era vietato ballare e fare musica dopo le 21 in alcuni luoghi del territorio.
La danza Moutya: l’origine dei movimenti
Le origini della danza Moutya sono tanto antiche quanto affascinanti. Questo ballo, infatti, si è sviluppato tra gli schiavi africani che arrivarono nell’arcipelago con la colonizzazione francese all’inizio del XVIII secolo. Si incontravano di notte, tra i boschi e le foreste lontane dalle case dei loro padroni, e ballavano. Lo facevano per esprimere e raccontare la loro sofferenza, per condividerla con gli altri. Per resistere alla servitù e alle ingiustizie sociali.
Una sorta di resistenza espressa proprio attraverso i movimenti sinuosi e sensuali e pochi strumenti che avevano a disposizione come i tamburi fatti con la pelle di capra, le pentole e gli utensili da cucina e le noci di cocco. Così, a ritmo di musica, uomini e donne iniziavano a ballare a ritmo lento, a suon di ondeggi. Vicini, senza però mai toccarsi.
La danza tradizionale delle Seychelles, eseguita tradizionalmente attorno a un falò, ricorda molto i ritmi Maloya dei Saodaj dell’Isola de La Reunion e quelli della sega, il ballo tradizionale degli abitanti dell’isola di Mauritius praticato ancora oggi e nato proprio dalle vittime della tratta.
La danza Moutya, oggi Patrimonio Culturale immateriale dell’Umanità è già simbolo dell’identità dell’arcipelago. È praticara ancora oggi in occasione di eventu culturali, manifestazioni e festival, anche di origine turistiche. Ma nonostante questa popolarità raggiunta non ha mai perso quella forma più profonda di significato che guarda alla protesta sociale e alle difficoltà.