Dopo il film di grande successo del 1986, sarà trasmessa su Rai1 la fiction “Il nome della rosa”, tratta dall’omonimo romanzo di Umberto Eco.
Molte delle puntate sono state girate a Cinecittà, ma alcune scene in esterno vedono protagonista il Parco naturalistico archeologico di Vulci, tra i Comuni di Montalto di Castro e Canino, nel cuore della Maremma laziale.
Fra la natura incontaminata, i canyon scavati nelle rocce di origine vulcanica dal fiume Fiora, che dopo una piccola cascata si allarga nel lago del Pellicone, la macchia mediterranea e le piccole valli dove si possono incontrare mucche maremmane e cavalli bradi conserva i resti dell’antica città Etrusco-Romana di Vulci, risalente al IV secolo a.C.
Ed è proprio il laghetto di Pellicone – quindi non nella tutelatissima zona archeologica del parco – a essere stato impiegato come set della fiction. Si tratta di uno specchio d’acqua con una piccola cascata, completamente circondato da pareti di roccia vulcanica e da una vegetazione incontaminata. Una piccola oasi di pace per tutti coloro che si avventurano lungo i percorsi di trekking del Parco di Vulci, alla scoperta degli scavi dell’antica città e delle bellissime tombe Etrusche presenti sul territorio.
“Non è la prima volta che il lago viene mostrato sul piccolo e grande schermo”, racconta .Carlo Casi, direttore del Parco di Vulci. Infatti è stato protagonista di una celebre scena del film “Tre uomini e una gamba” con Aldo, Giovanni e Giacomo, dove i tre amici fanno il bagno nelle fresche acque insieme alla compagna di viaggio Chiara. Ma si era visto anche in una scena di “Non ci resta che piangere” con Roberto Benigni e Massimo Troisi. Grande visibilità l’ha avuta anche grazie al video musicale di “Libre”, la canzone di Emma e Alvaro Soler, ambientato proprio sulle rive del lago. Set pure del fantasy-horror “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone, ogni anno il Parco di Vulci ospita almeno una produzione, lunga o breve che sia.
“Di solito scelgono la zona del lago per fare le riprese, il parco archeologico non è mai in pericolo”, spiega Casi. Nel Parco di Vulci ci sono sempre archeologi al lavoro, qui si scava in continuazione. Proprio di recente sono state scoperte ben cento tombe comprese tra la metà dell’VIII e il II sec. a.C., una delle quali con un corredo funebre quasi del tutto intatto, nella zona della necropoli di Poggetto Mengarelli, dove da qualche anno sono concentrati gli studiosi per riportare alla luce l’antica storia degli Etruschi.
Il Parco archeologico di Vulci è aperto tutto l’anno, tranne i giorni di Natale e di Capodanno. I visitatori possono ammirare gli scavi archeologici dell’antica metropoli Etrusco-Romana di Vulci, le nobili tombe etrusche, i reperti esposti nel Museo Nazionale Archeologico, immerso in una natura dai tratti incontaminati, che offre colori, suoni ed emozioni sempre diverse.