In Perpetuo: il regista racconta i trabucchi del Gargano e la memoria del tempo

Una conversazione con Federico Barassi sul suo film che cattura la bellezza fragile di un mestiere antico e di un paesaggio senza tempo

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Letizia Rogolino

Giornalista specializzata in Travel & Lifestyle

Giornalista, cinefila e anima vagabonda. Ama scrivere di cinema e viaggi, le sue due più grandi passioni da sempre. Toglietele tutto ma non i road movie, i dolci e il mare.

Pubblicato: 6 Giugno 2025 08:00

Cosa resta di un sapere antico quando rischia di scomparire?” è la domanda da cui prende forma In Perpetuo, il documentario diretto da Federico Barassi apprezzare lo scorso novembre al Festival dei Popoli e proiettato il 6 giugno al Cinema Farnese di Roma, il 10 giugno a Torino e il 16 giugno a Bari. Si tratta di un viaggio poetico e profondo tra i trabucchi del Gargano, macchine da pesca secolari sospese tra mare e cielo, memoria e materia.

Le origini dei trabucchi

Secondo alcune fonti storiche, questa straordinaria macchina da pesca potrebbe essere stata introdotta nel Gargano dai Fenici, anche se la prima attestazione documentata risale al XVIII secolo. In quel periodo i pescatori della zona furono costretti a trovare un metodo di pesca stabile e affidabile, capace di resistere al tempo e al mare.

Così nacquero i trabucchi: architetture ingegnose interamente in legno — pino d’Aleppo, quercia, cercolo, castagno — costruite a picco sul mare e saldamente ancorate alle rocce costiere. Ogni elemento è scolpito e fissato con estrema precisione, in una danza millenaria tra natura e tecnica. Come palafitte sospese tra cielo e acqua, i pali vengono incastrati in cavità scavate nella roccia, sorreggendo una piattaforma su cui si svolge l’intera attività di pesca.

Trabucco Gargano
Ufficio stampa
Trabucco nel Gargano

Intervista al regista Federico Barassi

In questa intervista il giovane regista del documentario In Perpetuo ci racconta la genesi del progetto, il legame personale che lo ha guidato, e l’intenso rapporto costruito con i “custodi del tempo”: i trabucchisti. Un racconto che è anche riflessione sul tempo che passa, sulle radici che resistono, e sull’urgenza di fermarsi ad ascoltare ciò che la natura e la tradizione ancora hanno da dirci.

Da dove nasce l’idea di raccontare i trabucchi del Gargano? C’è stato un momento preciso che ti ha spinto a iniziare questo progetto?

L’idea di In Perpetuo nasce intorno al 2017, quando iniziai una ricerca su alcuni mestieri tradizionali e antichi imprescindibilmente legati agli elementi naturali che rischiavano di scomparire. Il primo script comprendeva più mestieri messi insieme in un unico lungometraggio, e all’interno di questi mestieri antichi c’era anche la realtà dei trabucchi garganici. Nello stesso anno venne a mancare mio padre Paolo e la ricerca si focalizzò in maniera naturale sui trabucchi che in qualche modo me lo ricordarono perché racchiudono le sue due più grandi passioni: lavorare il legno e la pesca. Successivamente, approfondendo ulteriormente la ricerca, mi resi conto che concentrandomi solo sulla realtà dei trabucchi garganici avrei potuto rafforzare il messaggio che avevo in mente inizialmente, ovvero: cosa rimane di un vissuto – in questo caso secoli – quando scompare, che tracce rimangono nella memoria e nella società.

Il Gargano è spesso narrato in chiave turistica. In Perpetuo, invece, ne rivela un volto intimo, quasi nascosto. Era questo il tuo intento fin dall’inizio?

Si, ho scelto di fare le riprese nei mesi invernali, autunnali e primaverili proprio per questo. In queste stagioni il turismo è raro e la vita scorre più lenta. Il mio intento fin dall’inizio era quello di racchiudere in immagini, in quadri di vita quotidiana, quel forte legame che dall’alba dei tempi unisce l’uomo alla natura e che oggi stiamo lentamente perdendo.

Come hai selezionato i luoghi specifici del Gargano — come Vieste e Peschici — da includere nel film? C’erano luoghi simbolici che non potevano mancare?

Vieste e Peschici sono i luoghi dove ancora oggi possiamo vedere questi complicati macchinari in funzione e trovare gli ultimi custodi di questa tradizione. In questo piccolo tratto di costa si concentrano la maggior parte dei trabucchi pescanti e non abbandonati del Gargano, quindi la scelta è stata dettata dell’esigenza di vedere i trabucchi in funzione e i trabucchisti intenti nella pesca così come si faceva secoli e secoli fa.

trabucchisti
Ufficio stampa
Due trabucchisti del Gargano

Quanto tempo hai trascorso sul campo, tra Peschici e Vieste, e com’è stato il rapporto con i protagonisti del documentario?

Le riprese sono iniziate nel 2022 e in totale abbiamo fatto due settimane di riprese in sessioni alterne più i sopralluoghi. Il rapporto con loro è stato molto coinvolgente. Per realizzare questo tipo di documentario una delle cose più importanti è avere la fiducia dei protagonisti che vuoi riprendere, e quindi ho cercato di trascorrere più tempo possibile con loro, chiacchierando, pescando, mangiando pesce. Ho cercato di immedesimarmi nella loro quotidianità per ridonare allo spettatore il modo di intendere e percepire la vita sul trabucco nella maniera più reale e autentica possibile.

La luce, il vento, il rumore del mare… nel documentario tutto concorre a evocare l’anima del luogo. Che ruolo ha avuto il Gargano nella tua regia visiva e sonora?

Il Gargano è un territorio antico, quasi mistico. Ci sono tracce di popolazioni primitive, dell’epoca del bronzo e romane. Si può trovare una stratificazione di epoche straordinaria e questo quando sei lì lo percepisci. Ho cercato di evocare questi passati lontani. La colonna sonora che nel documentario è minimale vuole proprio essere quasi una voce degli avi che risuona dell’orizzonte del mare e ci chiama, ricordandoci chi eravamo, chi siamo e chi saremo. Una delle scelte che ho fatto fin da subito è stata quella di limitare le riprese unicamente nelle zone dei trabucchi perché volevo che questo macchinario diventasse il palcoscenico dove tutto avveniva, nonché il perno della narrazione. Ho scelto di posizionare la telecamera sempre sul treppiede con inquadrature fisse, per evocare la solidità del trabucco che resiste ai capricci della natura, ancorato a quegli scogli da secoli.

Il trabucco è protagonista silenzioso ma centrale del tuo documentario. Cosa ti ha affascinato maggiormente della sua storia e del suo significato?

Volevo che il trabucco diventasse un personaggio, forse il personaggio principale di In Perpetuo, quasi un organismo vivente e dunque bisognoso di cure. Tutto ruota intorno a questo macchinario che nel documentario – insieme agli elementi che lo compongono – è l’unico artefatto umano che possiamo vedere. Poi da subito l’ho visto come un opera d’arte e i trabucchisti gli artisti che lo creano. Quello che mi ha maggiormente affascinato è stato come i viestani e i peschiciani intendono il trabucco. Fin da piccoli lo hanno sempre visto lì, a piombo sul mare, ancorato a quegli scogli. Chi vive in queste zone infatti dice che non puoi dire di essere a Vieste o a Peschici se non vedi un trabucco in lontananza. È un simbolo che li rassicura e li fa sentire a casa.

Nel film emerge chiaramente il trabucco come simbolo di un sapere antico. Quanto è stato difficile ricostruire le sue origini e il suo ruolo nella cultura garganica?

I trabucchisti, tramandando il loro sapere di generazione in generazione e vivendo il trabucco da sempre, lo hanno dentro, nelle viscere. Non è stato difficile ricostruire le sue origini perché mi hanno guidato loro avvolgendomi nel loro mondo e nelle loro storie. Io sono diventato un testimone di quello che accadeva davanti ai miei occhi, mettendomi nella posizione dell’allievo che cerca di imparare dal maestro.

Trabucco
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Trabucco originale

Durante le riprese, hai scoperto qualche dettaglio o aneddoto inaspettato sulla storia dei trabucchi che ti ha particolarmente colpito?

Mi ha colpito maggiormente la sapienza e la difficoltà della costruzione. Per esempio come scavavano con un palo di ferro i buchi nei duri scogli per fissare i tronchi di sostegno, e come decidevano le posizioni dove effettuare questi buchi. Davvero un lavoro duro e di calcolo impressionante. Sono rimasto colpito da racconti di abbondanti pescate, quintali di pesce che oggi sono sempre più rare per colpa della pesca industriale, dell’inquinamento e della presenza di specie alloctone come il granchio blu che rendono sempre più difficile la pesca con il trabucco.

Nel tuo racconto il trabucco sembra vivere, respirare con chi lo abita. Hai scelto di dargli quasi una voce narrativa implicita. È stata una scelta consapevole?

Il trabucco in In Perpetuo è un personaggio del racconto. La sua voce sono i suoni che emette: gli scricchiolii del legno, le vibrazioni dei cavi di ferro tesi che emettono un suono quasi musicale e i rumori delle cime che sollevano la grande rete. Ho cercato di dargli una vita e farlo respirare insieme ai protagonisti.

Nel documentario si respira una profonda connessione tra uomo, natura e tempo. Come hai lavorato per tradurre visivamente questa dimensione poetica e quasi sospesa?

Sicuramente registrando i suoni della natura con l’utilizzo di microfoni stereofonici, questo ha aiutato a ampliare la sensazione di immersione negli elementi naturali, e poi lavorando al montaggio con il tempo, dilatando e sottraendo.

Hai parlato del rischio di perdita della memoria legata a questo mestiere antico. Cosa pensi che il pubblico possa imparare oggi dai mastri trabucchisti?

Io penso che il nostro passato possa insegnarci tanto sul nostro presente. La nostra società è una stratificazione di eredità che accumula saperi per evolverli. I trabucchisti in questo senso possono aiutare lo spettatore contemporaneo, abituato a ritmi frenetici e informazioni frastagliate, a fermarsi per riflettere su una vita semplice, concreta, fatta di attese e contemplazione. Penso che soprattutto al giorno d’oggi ne abbiamo sempre più bisogno.

Qual è stata la reazione dei trabucchisti dopo aver visto il film finito? Ti hanno dato qualche riscontro particolare che ti ha colpito?

Sono rimasti felici, mi hanno detto che sono riuscito a cogliere l’autenticità della vita sul trabucco.

Il film è stato selezionato da festival prestigiosi, come il CinemAmbiente di Torino e il Festival dei Popoli e sarà proiettato a partire dal 6 Giugno in varie zona d’Italia. Cosa rappresentano per te questi riconoscimenti e cosa ti aspetti per il futuro da questa opera?

Sono contento di queste selezioni, è stata la prima volta che presentavo un mio lavoro a un Festival cinematografico e devo dire che è stata una bella esperienza. Spero che il lungo viaggio di In Perpetuo continui verso la strada più giusta.