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Il mistero di Ayers Rock: cosa nasconde il monolite australiano

Tutti i segreti che si nascondono dietro il monolite più famoso del mondo

Uluru – Ayers Rock è il più imponente massiccio roccioso dell’Australia nonché il simbolo del Paese ed è presente nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Umanità dell’Unesco dal 1987. Si trova nel territorio federale del Northern Territory, a circa 450 chilometri dalla città più vicina, Alice Springs, e a quasi 2mila chilometri dal capoluogo Darwin, ‘l’Australia più vicina’.

Quello che le migliaia di visitatori vedono ogni anno, però, è solo un ventesimo della roccia, la maggior parte della quale è nascosta sotto terra. Uluru Ayers Rock, infatti, misura 380 metri di altezza, ma ben 7 chilometri sono sotto la superficie terrestre. In pratica è come un gigantesco iceberg fatto di roccia arenaria anziché di ghiaccio. Ma non è tutto.

Uluru non è un solo monolite, ma è formato da altre due montagne: Kata Tjuta e il Monte Conner. Infatti, è la formazione rocciosa è composta da un enorme blocco di roccia arenaria molto ma molto più grande. Kata Tjuta, letteralmente “molte teste”, conosciuto anche come Monte Olga, si trova a poca distanza da Uluru (25 km) e si estende per oltre 21 km quadrati. La formazione rocciosa è diversa da quella di Uluru e comprende 36 cupole (oggi si sono ridotte a 28) costituite di un misto di tre distinti materiali: granito, basalto e scisto. Insieme danno il nome al Parco nazionale Uluru-Kata Tjuta.

Il Monte Conner dall’alto spesso viene confuso con Uluru, anche se la sua forma è molto più piatta sulla cima. E’ la più distante delle tre alture (88 km da Uluru), ma la si scorge lungo la strada che conduce al parco, venendo da Alice Springs.

I tre fanno parte di un immenso e unico monolite in gran parte sepolto nella sabbia di dimensioni asteroidali. Secondo alcuni scienziati, questo immenso monolite potrebbe essere in realtà quel che resta di una luna terrestre, assai simile morfologicamente alla marziana Phobos, caduta intorno a 3,5 miliardi di anni fa e conficcatasi nel nascente scudo continentale australiano.

Uluru è visibile da decine di chilometri di distanza ed è celebre per la sua intensa colorazione rossa, che muta in maniera spettacolare dall’ocra, all’oro, al bronzo, al viola, in funzione dell’ora del giorno e della stagione. Motivo per cui non ci si stanca mai di guardarlo e di fotografarlo. Questi effetti di colore sono dovuti a minerali come i feldspati, che riflettono particolarmente la luce rossa. Il massiccio è costituito in larga parte di ferro e il suo colore rosso è dovuto all’ossidazione.

La superficie che, da lontano, appare quasi completamente liscia, avvicinandosi rivela molte sorgenti, pozze, caverne, strani fenomeni erosivi e antichi dipinti aborigeni. Ed è proprio il ruolo che esso ha nella mitologia del dreamtime (“era del sogno” o tjukurpa) delle popolazioni del luogo che rende Uluru un luogo pieno di misteri. Il sito di Uluru porta i segni dell’attività di numerose creature ancestrali. La maggior parte dei miti su Uluru, sulle sue caverne, le sue pozze, le sue sorgenti o le caratteristiche del paesaggio circostante sono segrete e non vengono rivelate ai piranypa (i non-aborigeni, cioè noi), ma solo la storia generale della sua formazione possono essere noti a noi. Inoltre, solo alcune parti del monolite possono essere fotografate dai turisti, altre invece sono severamente vietate perché sono considerate sacre.

Secondo il mito, Tatji, la Lucertola Rossa, che abitava nelle pianure, giunse a Uluru, lanciò il suo kali (boomerang) che si piantò nella roccia. Tatji scavò la terra alla ricerca del suo kali, lasciando numerosi buchi rotondi sulla superficie della roccia, tuttora visibili. Questa parte della storia è volta a spiegare alcuni insoliti fenomeni di corrosione sulla superficie del monolite. Non essendo riuscito a trovare il suo kali, Tatji morì in una caverna; i grossi macigni che vi si trovano oggi sono i resti del suo corpo.

Un altro mito riguarda due fratelli bellbird, un uccello australiano della famiglia dei passeri, che cacciavano un emù. L’emù fuggì verso Uluru e due uomini lucertola dalla lingua blu, Mita e Lungkata, lo uccisero e lo macellarono. Alcuni grossi macigni nei pressi di Uluru sarebbero pezzi della carne dell’emù. Quando i fratelli bellbird giunsero sul posto, gli uomini lucertola diedero loro un misero pezzetto di carne, sostenendo che non c’era altro. Per vendetta, i fratelli bellbird diedero fuoco al riparo degli uomini lucertola. Questi cercarono di fuggire scalando le pareti della roccia, ma caddero e arsero vivi. Questa storia spiega i licheni grigi sulla superficie della roccia nella zona dove si sarebbe tenuto il pasto (che sono considerati traccia del fumo dell’incendio) e due macigni semi-sepolti (i resti dei due uomini lucertola).

I miti e le leggende del dreamtime sono rappresentate da numerosi dipinti rupestri lungo la superficie di Uluru. Secondo la tradizione aborigena, questi dipinti vengono frequentemente rinnovati; fra gli innumerevoli strati di pittura, i più antichi risalgono a migliaia di anni fa. Diversi luoghi lungo il perimetro dell’Uluru hanno valenza religiosa particolarmente forte e i turisti che li visitano sono soggetti a diversi livelli di proibizione (per esempio di non avvicinarsi a determinati luoghi o non scattare fotografie).

Le popolazioni aborigene hanno richiesto più volte che i turisti non scalino il massiccio perché si tratta di un luogo sacro nella mitologia aborigena del dreamtime, ma ci sono anche motivi di sicurezza. Nel 1983, il Primo ministro australiano Bob Hawke promise che avrebbe vietato la scalata. Tuttavia, quando il governo australiano restituì la proprietà di Uluṟu alla popolazione aborigena degli Anangu (1985), furono poste due condizioni: che per 99 anni Uluṟu fosse gestito congiuntamente e che durante questo periodo fosse concesso ai turisti di scalare la roccia. La scalata di Uluru è un’attrazione turistica a cui pochi riescono a resistere e sono soprattutto i giapponesi, che costituiscono una percentuale significativa dei turisti in Australia, a farlo. Sebbene sia stato posizionato un corrimano, l’ascesa è ancora piuttosto pericolosa a causa delle superfici ripide e lisce, della fatica della scalata che dura circa un’ora e, almeno in alcune ore e stagioni, del rischio di insolazioni; l’attacco di cuore è fra le principali cause di morte. E anche in questo caso c’è chi crede a qualche strana leggenda…