La scoperta di Murayghat: riti, dolmen e strategie di sopravvivenza 5.000 anni fa

Un sito pieno di dolmen, privo di abitazioni: cosa succedeva davvero a Murayghat 5.000 anni fa? Una nuova ricerca cambia ciò che sapevamo

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Sara Boccolini

Travel Blogger

Laureata in Scienze del Turismo, ama da sempre viaggiare. Travel Blogger dal 2012 e Content Creator, alterna zaino in spalla a bagaglio a mano.

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Nel cuore della Giordania, a pochi chilometri dalla città di Madaba, si trova uno dei siti archeologici più affascinanti del vicino Oriente: Murayghat. Qui, circa 5.000 anni fa, in un’epoca segnata da profondi cambiamenti climatici e sociali, le comunità umane si riunivano per celebrare rituali, onorare i defunti e riorganizzare la propria esistenza.

La recente scoperta effettuata da un team di archeologi dell’Università di Copenaghen getta nuova luce su questo luogo misterioso e sulla sorprendente capacità di adattamento delle antiche società del Levante. Murayghat è oggi una testimonianza affascinante di come la spiritualità, la cooperazione e l’ingegno umano abbiano contribuito alla sopravvivenza in un periodo di crisi.

La scoperta di Murayghat: un centro cerimoniale nel mezzo della crisi

Murayghat non era un insediamento come gli altri: non sono state trovate abitazioni, focolari o strutture abitative permanenti. Al contrario, il sito appare come un grande spazio aperto adibito a funzioni cerimoniali e comunitarie, probabilmente utilizzato da più gruppi regionali – afferma l’autrice dello studio, Susanne Kerner.

Con oltre 95 dolmen disposti attorno a un tumulo centrale, accompagnati da menhir e pietre cerimoniali, Murayghat rappresentava un luogo di ritrovo, memoria e identità.

Secondo gli archeologi, le persone si riunivano qui per celebrare feste, commemorare i morti e prendere decisioni collettive, in un periodo di forti trasformazioni. Tra la fine dell’età del Rame e l’inizio dell’età del Bronzo, intorno al 3700 a.C., i grandi villaggi vennero abbandonati, le reti commerciali si indebolirono e i templi scomparvero.

In questo contesto di incertezza e cambiamento, Murayghat potrebbe aver funzionato come un punto neutrale di incontro per negoziare alleanze, ridistribuire risorse e rinsaldare i legami sociali. La struttura aperta del sito suggerisce uno spazio dedicato all’interazione, senza gerarchie imposte, dove le comunità potevano confrontarsi in assenza di sistemi politici consolidati.

Dolmen, offerte e riti: i segreti dei resti archeologici

I dolmen di Murayghat in Giordania, realizzati con enormi lastre di calcare lunghe fino a 4,5 metri, non contengono resti umani, probabilmente a causa di saccheggi o dell’erosione del tempo. Tuttavia, la loro struttura richiama altre tombe megalitiche della regione, suggerendo una funzione funeraria e simbolica.

scoperta fatta nel sito di Murayghat in Giordania
@The Ritual Landscapes of Murayghat Project - Susanne Kerner
Dolmen all’interno del sito

Organizzati in gruppi distinti – forse legati a famiglie o clan – e spesso orientati verso il tumulo centrale, i dolmen segnavano il territorio e trasformavano il paesaggio naturale in uno spazio culturale condiviso. Alcuni di essi potrebbero anche aver rappresentato veri e propri monumenti identitari, simboli del legame tra i vivi e gli antenati.

Oltre alle tombe, il sito conserva elementi cerimoniali unici, come le famose “coppelle” (piccole cavità scavate nella roccia), muri monumentali in pietra e pietre erette solitarie, tra cui la Hadjar al-Mansub, alta 2,4 metri. Gli scavi hanno portato alla luce grandi ciotole in ceramica, alcune con capacità di 25 litri, utensili in basalto con tracce di ocra e corna di animali.

Questi oggetti suggeriscono la presenza di banchetti rituali e celebrazioni collettive, forse legate a offerte o commemorazioni.
Murayghat ci racconta una storia antichissima, fatta di resilienza e ingegno umano. Di fronte alla crisi, le popolazioni locali risposero creando monumenti duraturi e luoghi in cui costruire memoria e solidarietà. Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato per raccontare il coraggio di chi ci ha preceduto.