Le prime immagini che emergono quando si pensa al turismo sono spesso quelle relative a monumenti storici, oppure a musei ricchi di capolavori o, ancora, a percorsi naturalistici e spiagge bellissime. Tuttavia, da qualche anno a questa parte, c’è sempre maggiore attenzione verso una forma di turismo ancora diversa: l’urban exploration, o Urbex. Questo tipo di esplorazione concentra la sua attenzione verso luoghi abbandonati e decadenti, dove il tempo sembra essersi fermato e dove i segni della presenza umana si mescolano, o addirittura vengono sovrastati, dalla natura che piano piano pensa ad una lenta riconquista. Cosa spinge così tante persone verso l’urban exploration e perché esercita un fascino così potente?
Indice
La scoperta dell’Urbex
L’urban exploration è molto più di una semplice avventura o giornata passata in luoghi abbandonati. Infatti, gli urbexer, come vengono chiamati tutti coloro che praticano questa particolare forma di esplorazione, vedono questi posti come una testimonianza di un passato che non si vuole lasciare alle spalle. Ad esempio, ogni edificio abbandonato, fabbrica dismessa oppure ospedale caduto in rovina ha qualcosa da raccontare e sembra trattenere fra le sue mura fatiscenti un pezzo di umanità.
L’esplorazione di questi luoghi invita tutti a riflettere su temi profondi. Uno fra tutti la transitorietà della vita e delle creazioni umane. Lo stato di decadenza ed abbandono di questi edifici sembra quasi un promemoria della mortalità dell’uomo e dell’impossibilità di controllare completamente il mondo che ci circonda.
Le origini dell’urban exploration: dalle Catacombe di Parigi ai social media
La storia dell’urban exploration ha radici profonde, più antiche di quel che si possa pensare. Nel 1793 il francese Philibert Aspairt esplorò per la prima volta le Catacombe di Parigi, un vasto laboratorio sotterraneo di gallerie e cimiteri che si snoda sotto la capitale francese, uno dei luoghi sotterranei più affascinanti d’Europa. Questa prima impresa segnò l’inizio dell’urbex, che oggi è diffuso in tutto il mondo e che ha visto una rapida ed esponenziale crescita grazie anche ai social media.
Oggi, piattaforme come Instagram o YouTube, infatti, hanno contribuito a rendere l’urban exploration una pratica popolare. Online vengono condivise immagini suggestive di vecchi ospedali, castelli abbandonanti e fabbriche dismesse, che attraggono migliaia di visualizzazioni da tutto il mondo.
Si tratta di scenari unici che, oltre ad essere il luogo perfetto per foto uniche, rappresentano una profonda connessione tra uomo e ciò che egli ha lasciato dietro di sé. Per molti esploratori urbani, infatti, condividere le immagini relative a questi luoghi non solo è un modo per raccontare la propria esperienza, ma è anche un invito a riflettere su come la società si trasforma e cosa rimane quando l’umanità si ritira e lascia spazio alla natura.
La ricerca dei luoghi dimenticati
Gli urban explorer, quindi, non si accontentano di semplici viaggi organizzati o mete turistiche comuni. Ma come avviene la ricerca di questi luoghi così affascinanti e dimenticati? Google Maps è probabilmente lo strumento più utilizzato per questo scopo. Osservando dall’alto le varie zone è possibile individuare i luoghi più remoti ed isolati, riuscendo così ad individuare i segni dell’abbandono: tetti sfondati, edifici invasi dalla vegetazione oppure strade dimenticate. Ma la famosa applicazione non è l’unica fonte di informazioni a riguardo. È possibile trovare questi luoghi abbandonati anche osservando annunci immobiliari o parlando direttamente con gli abitanti del luogo.
Una volta individuato il luogo abbandonato da visitare, questi esploratori non lo condividono facilmente con il mondo. Il codice non scritto dell’urbex, infatti, prevede un certo livello di segretezza. Non solo perché gli esploratori sono gelosi delle proprie scoperte, ma anche per evitare queste strutture vengano vandalizzate o depredate da quei soggetti che non hanno rispetto per il loro valore storico o artistico.
Quali rischi si corre con l’urban exploration?
Nonostante la crescente fama di questa pratica, l’urban exploration nasconde dei rischi. Visitare edifici pericolanti può, ad esempio, causare dei crolli. Le fabbriche dismesse o i vecchi ospedali, inoltre, possono contenere ancora materiali tossici che possono dannosi per l’uomo e per la natura. Tuttavia, i più esperti esploratori non si fanno intimorire. Un urbexer parte alla scoperta di questi luoghi segreti con l’attrezzatura giusta: elmetti, maschere contro eventuali agenti chimici e calzature robuste per poter camminare in sicurezza tra detriti e macerie o in mezzo alla natura.
Oltre ai rischi fisici che si possono correre con l’urban exploration, ci sono da considerare anche i rischi legali. Molte delle strutture e dei luoghi esplorati sono di proprietà privata e, pertanto, l’ingresso è vietato dalla legge. Gli esploratori sono consapevoli di queste probabili conseguenze legali, perciò è fondamentale rispettare sempre le norme ed agire con molta discrezione, evitando di forzare ingressi o arrecare danni ad edifici e proprietà altrui.
L’urban exploration in Italia
L’Italia è un vero e proprio paradiso per gli amanti dell’urban exploration. Con la sua lunga storia ed il suo vastissimo patrimonio architettonico, nel nostro Paese sono presenti numerosi luoghi ed edifici abbandonati, tutti da scoprire. È possibile visitare chiese e conventi vuoti, palazzi eleganti e nobiliari decaduti conquistati dalla vegetazione circostante, passando poi per fabbriche ed aree militare dismesse, fino a più di 6000 interi paesi abbandonati su tutto il territorio italiano.
Fra gli esempi più iconici è possibile citare la città fantasma di Consonno, situata in Lombardia e che nacque nei recenti anni Sessanta come progetto di una Las Vegas tutta italiana, ma subito abbandonata. Oppure, il borgo abbandonato di Roscigno Vecchia, considerato la “Pompei del Novecento”, che venne abbandonato nei primi anni del ‘900 a causa di continue scosse di terremoto che hanno costretto gli abitanti del posto a trasferirsi verso altre mete.
A questi si possono aggiungere migliaia di villaggi medievali sulle colline toscane e liguri, i borghi della Basilicata rimasti vuoti dopo l’emigrazione degli abitanti, ma anche numerose vecchie terme, teatri, ospedali, ville e, addirittura, carceri, che offrono un’esperienza di urban exploration senza eguali.
Esplorare questi luoghi significa immergersi nella storia che non viene raccontata nei libri di scuola oppure raccontata e celebrata nei musei. Sono luoghi che parlano di errori umani e di abbandoni, ma anche della forza della natura, che lentamente si è riappropriata di ciò che l’uomo le aveva rubato nel corso dei secoli.
L’urban exploration è una vera e propria esperienza, che va oltre la semplice curiosità per i luoghi abbandonati. È qualcosa che porta a riflettere sul tempo e sulla natura dell’uomo, osservando ciò che resta quando quest’ultimo si ritira. Per gli urbex è l’occasione di meditare, entrando in contatto con l’assenza della vita e con il lento ritorno della natura.