In Danimarca il vocabolario avrà una nuova parola. E non è “Covid”

Il vocabolo che entrerà di diritto nel linguaggio comune in Danimarca è una conseguenza della pandemia, ma è una parola bellissima

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Ilaria Santi

Giornalista & Travel Expert

Giornalista, viaggia fin da quando era bambina e parla correntemente inglese e francese. Curiosa, autonoma e intraprendente, odia la routine e fare la valigia.

Su SiViaggia parliamo tanto di viaggi, ma riserviamo troppo poco spazio alle lingue che, invece, sono fondamentali per viaggiare. Vi raccontiamo un storia bellissima che vale la pena conoscere e che, in tempi di pandemia, vi strapperà un sorriso.

L’accademia della lingua danese monitora costantemente le nuove parole introdotte nel linguaggio comune, per valutare quali di esse sopravviveranno alla fine dell’anno, venendo così inserite ufficialmente nel vocabolario. Nel 2019 la parola dell’anno era stata “klimatosse” che significa “cambiamento climatico”, a dimostrazione di quanto il tema ambientale fosse importante lo scorso anno (non che non lo sia ancora, ma adesso siamo concentrati su un altro problema).

Quest’anno, tra i vocaboli candidati vi sono naturalmente diverse parole legate al Covid. Tra queste c’è il termine “nødpasning”, che significa “baby-sitting di emergenza”, per chi ha dovuto conciliare impegni di lavoro e scuole chiuse, ma anche la parola “kahytfeber” ovvero la “febbre da isolamento”, per chi ha sofferto particolarmente di solitudine in tempi di lockdown.

Una parola molto interessante, anch’essa candidata quest’anno a entrare nel vocabolario danese, però, è “samfundssind“, un termine intraducibile in italiano e che significa “mettere il bene della società al di sopra dei propri interessi”. Effettuando una ricerca in un database di notizie danesi, il consiglio linguistico ha rilevato che l’uso di questo vocabolo è aumentato da 23 volte a febbraio a ben 2.855 a marzo.

Secondo Eva Skafte Jensen, una ricercatrice del Danish Language Council, la Danimarca si distingue per la forte tradizione di spirito di comunità. Nel XIX secolo questa caratteristica del popolo danese si è manifestata grazie alla creazione delle “si andelsbevægelsen” (“cooperative”) focalizzate su obiettivi comuni. E il modello cooperativo è ancora oggi alla base di molte aziende danesi, anche multinazionali come la Arla, che produce e commercializza il famoso burro salato Lurpak.

I danesi ritengono che questa parola possa svolgere un ruolo fondamentale nella risposta alla pandemia e la chiave risiede nella parola stessa. “Samfundssind” è un termine composto da “samfund” (“società”) e “sind” (“mente”). Risale al 1936, quando l’allora Primo ministro, Thorvald Stauning, fece un appello alla solidarietà allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Da allora in poi l’uso di questa parola è rimasto relativamente basso fino a quando l’attuale premier non l’ha ripresa, annunciando le prime misure importanti per il confinamento della Danimarca.

Lo stesso spirito “cooperativo” ha portato nel XIX secolo alla creazione delle “højskole” (“scuole popolari”), che si proponevano di dare a chi viveva in campagna un’educazione non formale. Queste scuole esistono ancora oggi.

All’inizio della pandemia di Coronavirus, il Primo ministro ha fatto appello direttamente al “samfundssind” danese parlando alla nazione: “Dobbiamo restare uniti mantenendo le distanze”, ha infatti dichiarato in una conferenza stampa l’11 marzo, quando il Paese è stato confinato, uno dei primi in Europa a farlo. “Abbiamo bisogno di spirito di comunità. Vorrei ringraziare … tutti coloro che finora hanno dimostrato che questo è esattamente ciò che abbiamo in Danimarca: samfundssind”.

Già durante la prima ondata in Danimarca c’è stata una mobilitazione generale in pieno spirito “samfundssind”. Chef stellati del calibro di Rasmus Munk dell’Alchemist di Copenhagen hanno riconvertito la propria cucina per preparare pasti caldi da distribuire ai senzatetto. Munk ha avviato il progetto JunkFood e racconta di avere ricevuto più di mille e-mail da colleghi chef e persone comuni che si sono offerte di portare il cibo nei 14 centri di accoglienza che hanno supportato; alberghi e ristoranti si sono messi in contatto per donare cibo che altrimenti sarebbe andato sprecato. “Saremmo potuti essere tutti a casa a rilassarci, ma abbiamo ritenuto necessario fare qualcosa che andasse oltre le nostre esigenze personali”, ha detto lo chef. “Naturalmente, non eravamo solo noi. La Danimarca si è davvero unita e penso che samfundssind abbia giocato un ruolo importante”.

I post sui social taggati #samfundssind hanno dato eco a piccoli e grandi atti di gentilezza, dal lavoro dei volontari agli inviti a sostenere le imprese locali. I ricercatori dell’Università di Copenaghen hanno documentato più di 250 nuovi gruppi di volontari su Facebook per progetti di aiuto alla comunità tra marzo e aprile, mentre alcune attrazioni iconiche di Copenhagen, come i celebri giardini di Tivoli e lo zoo di Copenaghen, sono stati trasformati in scuole e asili nido temporanei durante il picco dell’epidemia.

In questo periodo, nel pieno della seconda ondata, siamo portati a riflettete, più che mai, su quanto una nostra azione possa avere un impatto sugli altri e quanto sia importante un comportamento che possa superare l’interesse personale per il bene comune. Le parole sono un bel termometro di un popolo e di una nazione e possono avere un grande potere di cambiare le cose e di influenzare i comportamenti.