Tra Benevento e Bari, nella provincia dimenticata, ricca di città abbandonate, si dipana la storia di Sergio Rubini, ovvero Elia, l’ultimo eroe dei ricordi di un paese fantasma.
Il nuovo film di Pippo Mezzapesa, il suo secondo dopo Il Paese delle Spose infelici, porta il suo pubblico nuovamente in uno scenario a lui caro. Siamo nel meridione italiano, con Il bene mio, questo il titolo della sua pellicola, che ha voglia di raccontare di luoghi dimenticati, di città fantasma che di colpo si sono ritrovate private della propria forza vitale, data dagli stessi abitanti.
Fughe improvvise, dovute a eventi traumatici, o lunghi processi di spostamento, che rendono difficile, se non impossibile, tramandare il ricordo, di generazione in generazione, fino allo svanire definitivo della memoria di luoghi che fanno parte di noi, in quanto tasselli della storia d’Italia, che oggi tendiamo a ignorare.
Il protagonista del film è Sergio Rubini, che interpreta Elia. Questi è l’ultimo abitante di Provvidenza, un paesino distrutto dal terremoto. Ostinato e legato in maniera viscerale alla propria terra, Elia non dimentica. Non segue la facile convenienza, imitando i suoi ex concittadini, fuggiti altrove come i barbari dopo aver dato fuoco troppe volte al proprio terreno per renderlo fertile, prosciugandolo d’ogni vita.
Nella realtà Provvidenza è ricreata attraverso ‘località fantasma’ site nelle province di Bari e Benevento. Una lunga ricerca, come il regista ha raccontato alla stampa, alla ricerca dell’immagine ideale che aveva in mente di Provvidenza: “Ho visitato tutti i paesi disabitati da Roma in giù. Alla fine mi è apparsa Apice Vecchio, che è divenuta la location principale del film”.
I terremoti del 1962 e del 1980 l’hanno di fatto reso un paesino disabitato, un borgo dal passato per lo più sconosciuto e dal futuro sospeso nel tempo. Una pellicola intensa, destinata a far riflettere sull’oblio al quale per convenienza spesso ci aggrappiamo. Ignorando la nostra storia, il nostro retaggio culturale, moriamo un passo alla volta e la struggente ricerca di Mezzapesa può restituirci un po’ d’identità.
Il film, come detto, si sposta tra Puglia e Campania, utilizzando il set di Gravina per la casa di Elia, per poi arricchire il tutto con alcuni esterni ottenuti a Poggiorsini. In entrambi i casi siamo nel barese. Un’operazione delicata, come racconta il regista, e il motivo è presto detto: “Apice Vecchio è un paese inagibile. Girare lì è stato molto, molto difficile. Un’avventura che ci ha fatto vacillare fino alla fine, ma poi sono giunti i permessi per quello che ho ritenuto un luogo ideale. Perché? Il silenzio e la voce di questi luoghi abbandonati restituiscono qualcosa di una vita passata che è impossibile ricostruire altrove”.