Perché il viaggio di ritorno è più breve di quello di andata

Se anche voi avete avuto, almeno una volta nella vita, la sensazione che il viaggio di andata fosse più lungo di quello di ritorno, sappiate che è un fenomeno diffuso, con tanto di spiegazione scientifica

Pubblicato: 3 Maggio 2021 07:10

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Redazione

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Vi sarà capitato, durante la partenza per le tanto sognate vacanze o anche per un weekend fuori porta, di avere la sensazione che all’andata non si arrivasse mai a destinazione, mentre il viaggio di ritorno sembrasse sorprendentemente più breve. Eppure la strada percorsa era esattamente la stessa. Ebbene, questa illusione piuttosto diffusa si chiama “return trip effect” (“effetto da viaggio di ritorno”) ed è stata oggetto di diversi studi nel corso degli anni.

Stando ai dati emersi da tre esperimenti condotti tra Stati Uniti e Olanda, il suddetto effetto ci farebbe percepire la strada del rientro più breve del 17-22% rispetto a quella dell’andata, nonostante il tempo trascorso in viaggio e i chilometri percorsi siano del tutto identici. Ciò prova che il fenomeno non dipende dal tragitto, bensì dalle nostre aspettative.

Come si spiega, dunque? Semplice: all’andata, è talmente tanta la smania di arrivare da portarci a sottostimare la distanza da percorrere per raggiungere la nostra meta, per cui il tempo sembra dilatarsi e il viaggio appare più lungo.

Al ritorno, invece, non essendo più dominati dall’impazienza, ridimensioniamo le aspettative in base al reale tragitto da percorrere, così le nostre previsioni diventano più realistiche e il tempo riprende a scorrere ‘normalmente’.

I tre diversi esperimenti hanno evidenziato che il “return trip effect” si verifica nei viaggi in autobus, in treno, in macchina e in bicicletta, purché ci siano, come condizioni di base, la consapevolezza che ci sarà un ritorno e la non periodicità del tragitto.

Questa illusione temporale si attenua, invece, durante i viaggi frequenti, come quelli dei pendolari costretti a spostarsi ogni giorno per lavoro. Ciò, probabilmente, è dovuto alla ripetitività dei tragitti, che dà luogo ad aspettative più veritiere sulla distanza da percorrere.

Altre ricerche negli anni Cinquanta avevano affrontato il tema della percezione distorta del tempo, durante i viaggi di andata e ritorno, sottolineando come la familiarità e la prevedibilità del tragitto ci aiuterebbero a considerare più breve il percorso, dato che già lo conosciamo.

L’ipotesi è, tuttavia, in contrasto con un esperimento condotto nel 2011 dallo psicologo olandese Niels Van de Ven, durante il quale due gruppi di ciclisti hanno raggiunto lo stesso luogo insieme. Al ritorno, il primo gruppo ha ripetuto la stessa strada dell’andata, mentre il secondo ne ha percorsa una diversa. Alla fine, però, entrambi i gruppi hanno dichiarato di aver percepito più breve il tragitto di ritorno.

In conclusione, la causa dell’effetto “viaggio di ritorno” potrebbe essere un insieme di tutti questi fattori: quel che è certo, è che la percezione soggettiva dello scorrere del tempo è estremamente variabile, il che la rende anche particolarmente affascinante.