I meravigliosi luoghi d’Abruzzo del romanzo L’età fragile

Ha vinto il Premio Strega 2024 il romanzo di Donatella Di Pietrantonio che presto sarà anche un film

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Ilaria Santi

Giornalista & reporter di viaggio

Giornalista, viaggia fin da quando era bambina e parla correntemente inglese e francese. Curiosa, autonoma e intraprendente, odia la routine e fare la valigia.

Pubblicato: 12 Agosto 2024 12:16

Ha vinto il Premio Strega 2024 il romanzo “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio e presto sarà anche un film. Indigo Film e HT Film, infatti, ne hanno acquisito i diritti. Basato su una storia vera, accaduta negli Anni ’90 in Abruzzo, la scrittrice ripercorre una vicenda di cronaca nera con un tocco di licenza poetica ommettendo i veri nomi delle vittime e delle loro famiglie.

Il romanzo è nelle classifiche dei libri più venduti dell’anno e dei più scaricati su Audible e, tragedia a parte, ha suscitato in coloro che lo hanno letto, io per prima, una grande curiosità sui luoghi meravigliosi, nonostante tutto, in cui è stato ambientato.

La Di Pietrantonio, infatti, è stata molto brava a descrivere le montagne dell’Abruzzo in cui si è svolta la vicenda accaduta in un campeggio sperduto tra i monti ai piedi dell’iconico Dente del Lupo, che viene nominato più volte nel romanzo, un torrione roccioso eletto a simbolo di questo territorio ancora molto aspro e selvaggio in provincia di Teramo.

Dove è ambientato “L’età fragile”

Siamo nel Massiccio Montuoso del Gran Sasso, nei pressi della cima del Monte Camicia, in Abruzzo, appunto. Un luogo aspro, come viene descritto anche nel romanzo, che però regala scorci inattesi su profondi burroni e pareti rocciose dove solo i camosci, i cervi e i caprioli possono arrivare. Il Dente del Lupo che domina tutto il territorio in cui è ambientata la storia è uno sperone alto 2.420 metri che ha davvero la forma di un canino appuntito proprio come quello dei lupi appenninici che vivono tra queste foreste. Sono molti gli escursionisti che, specie d’estate, si avventurano tra questi monti seguendo i sentieri segnati. ma bisogna fare attenzione, perché questa montagna è considerata, per tanti motivi, “maledetta”.

Come raggiungere il Dente del Lupo

Per raggiungere il Dente del Lupo bisogna risalire il Monte Camicia, un’escursione piuttosto impegnativa che dura circa cinque ore e che ha un dislivello di circa mille metri, ma che merita assolutamente in quanto è sicuramente un’esperienza indimenticabile perché si tratta di una delle vette più alte e più suggestive della catena del Gran Sasso.

Una volta raggiunto il monte, ci si trova dinnanzi a un vero balcone su mare e sulla piana di Campo Imperatore, il vasto altopiano di origine glaciale situato tra i 1 500 e i 2100 metri di quota, conosciuto anche come il “Piccolo Tibet” d’Abruzzo. Tutt’intorno, si stagliano le cime più elevate dell’Appennino: il Corno Grande, la Scindarella e il Monte Portella. D’estate, la zona del Monte Camicia Tremoggia Monte Siella è ricoperta da una straordinaria fioritura di Stella alpina dell’Appennino che è uno spettacolo.

Dal Monte Camicia bisogna scendere poi verso la Forchetta di Penne passando attraverso distese verdi che conducono direttamente alla base del Dente. Ad attendere l’escursionista ci sono ancora 150 metri di salita per raggiungere la cima, attirato dal riflesso della pietra calcarea illuminata dal sole. C’è chi dice che man mano che si sale l’odore dello zolfo rievochi l’inferno dantesco. Ma non è tutto: la roccia qui è molto friabile, è come se la montagna cercasse di difendersi dall’invasione dell’uomo, solo la leggerezza e la delicatezza dei camosci sono consentite. Per questo motivo, il Dente del Lupo è da molti considerata una vetta maledetta, scenario di molti incidenti che la rendono la vetta più impegnativa degli Appennini.

La trama del libro ambientato ai piedi del Dente del Lupo

Se non lo avete ancora letto cercherò di non spoilerarvi, ma di incuriosirvi. Ai piedi del Dente del Lupo è accaduto un fatto di cronaca nera e uno dei primi femminicidi riconosciuti ufficialmente in Italia negli Anni Novanta. Nel romanzo i nomi sono stati cambiati però. La protagonista dell’Età fragile è Lucia che, da giovane, ha scampato l’omicidio di due sorelle, Tania e Virginia Vignati, ospiti del campeggio di famiglia da parte di bracciante albanese che viveva nei boschi.

L’unica sopravvissuta è l’amica di Lucia, Doralice, che stava facendo un’escursione tra i boschi con le due ragazze. L’esperienza traumatica delle due sopravvissute e l’influenza che essa ha poi avuto sulle loro vite sono al centro della trama del romanzo. Nel romanzo si parla di passato (e di una vicenda che molti hanno dimenticato), ma anche del futuro di questa bellissima zona abruzzese dove un imprenditore vorrebbe trasformare il vecchio camping, chiuso e abbandonato da decenni, in un resort sperduto dove fare turismo esperienziale. Quindi il tema è di grande attualità perché mette a confronto le esigenze turistiche moderne con la responsabilità di una comunità di preservare non soltanto la memoria ma anche un luogo e di tramandarle alle prossime generazioni.

Il fatto di cronaca nera: il Delitto del Morrone

È il 20 agosto del 1997 quando le sorelle Diana e Silvia Olivetti, insieme all’amica Tamara Gobbo, una ragazza del posto, intraprendono un’escursione alle pendici della Majella, nel cuore dell’Abruzzo appenninico, intenzionate a raggiungere la cima del Monte Morrone, che sovrasta la Valle Peligna e la città di Sulmona. Dopo circa due ore di cammino, le giovani raggiungono la località di Mandra Castrata, dove s’imbattono in un uomo in abiti trasandati, a cui Diana domanda indicazioni per raggiungere la vetta. L’uomo, però, un macedone di nome Halivebi Hasani, detto Alì, segue le tre giovani e, dopo avere puntato una pistola contro di loro, cerca di violentare Diana, ma nella colluttazione colpisce Silvia, che si finge morta, e Tamara. Silvia, unica sopravvissuta al massacro, riuscì a fuggire e a dare l’allarme.