Ritrovato un bottino di guerra sottratto all’esercito romano

L'inaspettata scoperta è avvenuta per puro caso: i ricercatori erano sul posto per effettuare un giro di routine ed effettuare alcune rilevazioni

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Flavia Cantini

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Una nuova scoperta, tanto fortuita quanto emozionante, arriva ad arricchire l’ingente patrimonio risalente al periodo Romano.

Questa volta, è avvenuta in Israele, a Seliq, all’interno di una grotta nella riserva naturale di Ein Gedi, per puro caso: infatti, il gruppo di ricercatori si era recato sul posto per effettuare un giro di routine ed effettuare alcune rilevazioni.

Il bottino di guerra sottratto all’esercito romano

Ed è nel corso della conferenza stampa tenutasi a Gerusalemme che è stato presentato ufficialmente il ritrovamento di quattro spade romane e della testa di un giavellotto, risalenti a circa 1900 anni fa e perfettamente conservate.

La scoperta all’interno della grotta, in un’area rocciosa isolata e di difficile accesso, fa pensare che potesse trattarsi di un bottino di guerra sottratto all’esercito romano da parte di un gruppo di ebrei ribelli che erano, appunto, soliti nascondersi nelle grotte del territorio.

E proprio nella grotta a nord di Ein Gedi, cinquant’anni fa furono rinvenuti i resti di un’iscrizione ebraica su una stalattite, realizzata con inchiostro nell’antica forma di scrittura risalente al periodo del Primo Tempio.

E, in qualche modo, le due scoperte sono legate: infatti, il dottor Assaf Gayer del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Ariel, il geologo Boaz Langford dell’Istituto di Scienze della Terra e del Centro per la ricerca sulle caverne dell’Università Ebraica di Gerusalemme e Shai Halevi, un fotografo della IAA, il dipartimento delle antichità, erano lì con l’obiettivo di immortalarla servendosi della fotografia multispettrale per decifrarne parti non visibili a occhio nudo.

Così, mentre si trovava nella zona alta della grotta, il dottor Geyer ha scorto la testa del giavellotto in perfetto stato di conservazione e, in una fessura non distante, alcuni pezzi di legno lavorato che si sono rivelati parte dei foderi delle spade.

All’eccezionale e inaspettato ritrovamento ha fatto seguito una seconda e approfondita esplorazione che ha dato i suoi frutti: in una fessura profonda e stretta tra due stalattiti, i ricercatori si sono imbattuti in quattro spade di periodo romano, tre delle quali addirittura all’interno dei rispettivi foderi, realizzati in legno e cuoio e con alcune parti in metallo.

La lunghezza della lama di tre spade è di circa 60-65 cm, dato che permette di classificarle come “Spatha Romana”. La quarta lama misura, invece, 45 centimetri e rientra, quindi, nella tipologia di spade con pomello ad anello.

Il loro sorprendente stato di conservazione è stato agevolato dalle condizioni di temperatura e di ridotta umidità garantite dalla grotta, che hanno bloccato il deterioramento delle parti non in metallo.

Il commento dell’esperto

Queste le parole del dottor Eitan Klein, direttore del Judean Desert Survey Project: “L’occultamento delle spade e della testa del giavellotto all’interno di profonde fessure di una grotta isolata a nord di Ein Gedi suggerisce che le armi furono sottratte come bottino ai soldati romani o portate via dal campo di battaglia e che furono deliberatamente nascoste dai ribelli ebrei per poter essere riutilizzate.

È probabile che i ribelli non volessero essere sorpresi con le armi addosso nell’evenienza di uno scontro con le autorità romane. Siamo solo all’inizio del percorso di ricerca relativo a questa grotta e al set di armi rinvenute al suo interno, e il nostro obiettivo è cercare di scoprire a chi appartenessero le spade, dove vennero realizzate, quando e da chi.

Cercheremo di capire quale sia l’evento storico che portò alla rimozione delle armi dalla grotta, e se possa essere connesso alla ribellione di Bar Kochba, avvenuta tra il 132-135 d.C. Questa scoperta che tocca un momento storico è agghiacciante ed emozionante.

Non tutti sanno che a causa delle condizioni climatiche secche, nel deserto si conservano reperti che non sono sopravvissuti in altre parti del Paese. Si tratta di una capsula del tempo davvero unica“.