È tutto pronto per un passaggio storico: a Nuova Delhi il 10 dicembre è stato comunicato ufficialmente l’esito positivo sul riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’Umanità UNESCO.
Il dossier, costruito negli ultimi anni e approvato tecnicamente lo scorso mese, è stato progettato per mettere in luce un elemento identitario prima ancora che gastronomico. Non si punta sulla ricetta iconica né sul prodotto tipico, bensì sul fatto che in Italia cucinare, condividere la tavola e scegliere ingredienti sostenibili non costituiscono azioni isolate ma rituali collettivi, radicati nella memoria familiare e nella diversità territoriale.
Nel valutare il riconoscimento, il Comitato UNESCO riunito dall’8 al 13 dicembre ha analizzato 60 candidature da 56 Paesi. Solo 24 delegati hanno diritto di voto, tra cui Francia, Germania, India, Nigeria, Emirati Arabi e Ucraina. È quindi una selezione globale, condotta con criteri che prevedono attenzione alla sostenibilità culturale, alla trasmissione intergenerazionale e alla dimensione comunitaria delle pratiche gastronomiche.
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La cucina italiana diventa Patrimonio UNESCO
L’Italia non è estranea ai riconoscimenti, ma finora si è visto premiato un singolo mestiere: l’arte del pizzaiuolo napoletano, riconosciuta nel 2017 come tecnica e rito sociale che dà forma, a partire da acqua e farina, a un simbolo popolare planetario ma tutto sta per cambiare con un unicum nel panorama mondiale.
Con l’esclamazione “adopted” la cucina italiana entra ufficialmente tra i patrimoni UNESCO e ottiene il riconoscimento come prima al mondo a esserne titolata.
La decisione è stata presa durante la riunione del Comitato intergovernativo a Nuova Delhi, alla presenza, tra gli altri, del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato in India anche per consolidare i rapporti diplomatici ed economici.
In un messaggio video, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso soddisfazione, definendo questo risultato un tributo all’identità italiana. La cucina, ha spiegato, non rappresenta soltanto un insieme di piatti, ma incarna saperi antichi, lavoro, filiere agricole sostenibili e la creatività dei cuochi e dei produttori che la rendono unica nel mondo. Il riconoscimento, ha aggiunto, potrà rafforzare la tutela delle eccellenze nazionali e contrastare imitazioni e frodi, oltre a dare nuovo impulso all’export agroalimentare, già oggi settore trainante dell’economia.
È stato un procedimento lungo e impegnativo, iniziato nel 2023 con l’avvio della procedura curata dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Agricoltura. Sono serviti mesi di valutazioni per arrivare il 10 dicembre 2025 al responso positivo. Il comitato tecnico dell’UNESCO ha espresso parere favorevole, certificando la solidità della candidatura e consigliandone l’inserimento nella prestigiosa Lista del patrimonio immateriale.
La cucina italiana riconosciuta Patrimonio UNESCO viene registrata come modello di diversità bioculturale, un concetto che, negli ultimi anni, ha assunto centralità nelle valutazioni UNESCO. Si tratta della consapevolezza che la cultura del cibo non sia solo gusto ma anche territorio, paesaggio, lavoro agricolo e relazioni sociali. Grazie a ciò viene riconosciuto il contributo di generazioni di cuochi domestici e professionali, contadini, ristoratori, donne di famiglia e comunità intere che hanno trasformato il gesto del cucinare in atto sociale.
L’impatto del riconoscimento UNESCO
Non va dimenticato che un riconoscimento UNESCO comporta effetti misurabili sull’economia e sull’attrattività turistica.
Le analisi condotte dall’Università Unitelma Sapienza mostrano infatti che i siti riconosciuti come patrimonio crescono in media molto più rapidamente rispetto ai territori senza marchio. È stato registrato, ad esempio, un aumento del 7,39% degli arrivi nei luoghi UNESCO contro un calo del 3,26% in quelli privi di riconoscimento nel periodo 2023-2024.
La cucina italiana trionfa anche nelle classifiche
È noto che quando si parla di cucina mondiale l’Italia continui a emergere come riferimento assoluto. La conferma più recente arriva da Taste Atlas, piattaforma internazionale che monitora e recensisce tradizioni gastronomiche da ogni parte del pianeta. Nel ranking “100 Best Food Regions in the World” l’Italia si è distinta ancora una volta, occupando in massa la fascia alta della classifica e imponendosi come Paese con la maggiore concentrazione di eccellenze.
Il primato spetta alla Campania, classificata al primo posto globale. Non è sembrato un caso che la regione abbia ottenuto un punteggio altissimo: si parla di una cultura culinaria che ha definito l’immaginario gastronomico internazionale. Accanto alla pizza napoletana e ai suoi metodi di lavorazione, emergono ingredienti dal sapore autentico come il pomodoro San Marzano e la mozzarella di bufala, prodotti che incarnano il legame irripetibile tra territorio, clima e tradizione. Non va trascurato il fascino dei sughi lenti, tra cui il celebre ragù alla genovese, simbolo di una cucina familiare che ha saputo diventare universale.
Sul podio globale al terzo posto compare poi l’Emilia-Romagna, regione che si conferma tempio della valorizzazione artigianale. È noto che le sue specialità abbiano un impatto culturale enorme: Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, aceti tradizionali e ragù storico sono diventati ambasciatori del gusto italiano nel mondo.
A seguire, altre regioni italiane confermano una distribuzione diffusa di eccellenza: la Toscana (ottavo posto), con la sua cucina rurale, i salumi e le zuppe di territorio; la Sicilia (dodicesima classificata), dove dolcezza, mare e influenze arabe hanno creato un mosaico gastronomico unico. Anche la Lombardia (diciannovesima) appare nelle posizioni alte, a dimostrazione di un equilibrio sorprendente tra risotti, prodotti d’alpeggio e cucina urbana.
Altre regioni che spiccano sono la Puglia (ventiquattresima), per materie prime come l’olio e il Piemonte, terra di vini e grandi formaggi al venticinquesimo posto. Ventiseiesimo in classifica il Lazio, con la potenza delle paste romane.
Gli altri riconoscimenti culinari UNESCO nel mondo
Per comprendere la portata della nomina italiana è sufficiente osservare come, fino a oggi, l’UNESCO abbia premiato elementi puntuali di culture gastronomiche, e non interi sistemi nazionali. Nel 2010, ad esempio, la Francia ha visto riconosciuto il “pasto gastronomico”, celebrato per la struttura rituale delle portate e per l’importanza sociale della tavola.
È noto che il Giappone abbia ottenuto l’iscrizione del Washoku, pasto tradizionale basato su freschezza, equilibrio e rispetto del ritmo stagionale. La Corea ha ottenuto il riconoscimento per la tradizione del kimchi, non inteso come singolo alimento ma come processo comunitario di preparazione. Negli ultimi anni sono entrati a far parte della lista anche la baguette francese, celebrata non tanto per il pane in sé ma per il sapere artigianale, e lo street food di Singapore, esempio di modernità gastronomica urbana.