Nel luglio 2017, il fotografo Leonello Bertolucci ha avuto l’onore di entrare nella Grotta dei Cervi, un luogo interdetto ai più e che solo pochissimi hanno avuto la fortuna di esplorare. Prima di lui solo pochi, tra cui Alberto Angela, erano stati ammessi. La Grotta dei Cervi si trova a Porto Badisco vicino a Otranto a una profondità di 26 metri sotto il livello del mare e non è una grotta qualunque, si tratta infatti del complesso pittorico neolitico più imponente d’Europa tanto da essere chiamata anche la Cappella Sistina della preistoria.
Non tutti sanno che il Salento è una delle zone più grandi d’Europa a ospitare dolmen, menhir e monumenti megalitici, se ne contano circa 120 in tutto il territorio. Lo sa bene Bertolucci che ha appena pubblicato “Porto Badisco. La grotta dei cervi” (Adda Editore, 20 euro) e tre anni fa “Respiri di pietra. Monumenti megalitici del Salento” (Ed. Lupo), un libro in cui ha raccolto le immagini e la documentazione relativa ai monumenti megalitici salentini. È stato proprio questo suo lavoro a permettergli di essere selezionato dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Brindisi, Lecce e Taranto tra i pochi eletti che hanno potuto accedere alla grotta. La grotta, infatti, non è aperta al pubblico.
Si può visitare la grotta?
Non è possibile entrare da soli, si è sempre accompagnati da speleologi abilitati. Inoltre, i permessi per accedere alla Grotta dei Cervi vengono dati solo per motivi di studio o ad alcuni giornalisti. E basta.
Anche una volta fatta la richiesta non è detto che questa venga accolta, però. I motivi per cui l’ingresso è limitato a poche persone sono soprattutto legati alla preservazione dell’ambiente. Centellinare – nel vero senso della parola – gli accessi serve per non deteriorare le opere che la Grotta contiene. Si potrebbero introdurre microbi o agenti esterni che rovinerebbero opere che sono lì da millenni.
Cos’ha di speciale la Grotta dei Cervi
Al suo interno negli Anni ’70 sono stati scoperti alcuni pittogrammi che risalgono al neolitico, datati tra il 3.000 e il 4.000 a.C.. La scoperta, come spesso accade, fu casuale e fu fatta da cinque membri del Gruppo speleologico salentino “P. de Lorentiis” di Maglie, nei pressi di Lecce. Ad accompagnare i pochi adetti ai lavori all’interno della grotta è sempre Nini Ciccarese, Direttore scientifico del gruppo speleologico.
Si contano all’incirca 3mila pittogrammi che raffigurano uomini, animali, ma anche piccole impronte di mani e figure mistiche che potrebbero avere tra i 5.000 e gli 8.000 anni. Alcuni rappresentano scene di caccia di cervi, da cui deriva il nome della grotta. In precedenza era chiamata Grotta di Enea, poiché a Porto Badisco era stato individuato il luogo mitologico dello sbarco di Enea narrato nell’Eneide di Virgilio. Ma andiamo per ordine.
Può accedervi chiunque?
Entrare nella grotta non è per tutti. Oltre alla preselezione, per ottenere il benestare bisogna anche avere il fisico! Gli spazi all’interno sono bui e stretti e non bisogna soffrire di claustrofobia. Inoltre, bisogna essere in buona salute. Ecco perché viene fatta firmare una liberatoria in cui si dichiara di essere di sana e robusta costituzione.
È una cosa da speleologi: si indossa il casco e un tipo di abbigliamento adatto ai minatori. La sola luce all’interno è quella prodotta dai caschi. Ci sono tre corridoi per circa 2 km. Uno dei corridoio però ha un ingresso indipendente.
Per spostarsi bisogna strisciare nel fango stando sempre attenti a dove si mettono i piedi. Proprio perché è interdetto al pubblico è stato creato un bunker di pietra con una porta blindata. Bisogna sciacquarsi le scarpe con dell’acqua disinfettata per non introdurre batteri, si scende con scale di metallo per circa 30 metri e lì inizia un primo cunicolo molto lungo e basso (meno di un metro), strisciando a carponi. La risalita a ritroso nei cunicoli è anche più faticosa dalla discesa.
Una volta superato il primo cunicolo si assiste a uno spettacolo unico. Si apre una prima sala con i pittogrammi più antichi in ocra rossa. Tra i tanti disegni e le immagini di caccia ve ne sono alcuni di cui non si sa ancora molto e che sono ancora in fase di studio, come il pittogramma che rappresenta un uomo con i piedi palmati.
Si procede poi in un altro cunicolo più corto e si giunge nelle sale più grandi dove ci sono anche stalattiti e stalagmiti che solo queste sono uno spettacolo: qui i pittogrammi sono neri e sono stati fatti con il guano dei pipistrelli. Si tratta di disegni astratti che rappresentano scene di caccia di cervi, ma anche spirali e altre figure geometriche.
Cos’ha di speciale la grotta?
Ma le sorprese non sono finite. Attraverso un altro cunicolo si arriva a una parete dove è raffigurato uno sciamano danzante, chiamato ‘Dio che balla’, che è diventato un po’ il simbolo del Salento. Ora lo si trova rappresentato su ceramiche e magliette che vengono vendute ai turisti.
E poi ci sono alcuni pittogrammi che hanno fatto nascere diverse teorie tra gli studiosi. In una sala le pareti sono ricoperte di impronte di mani di bambini. Queste stampe hanno dato origine ad alcuni dubbi: poteva rappresentare un gioco, ma anche un rito di iniziazione, considerato che si trattava di un luogo buio.
Quindi, non è stato soltanto un artista a lasciare il segno indelebile sulle pareti, ma ciò testimonia il fatto che intorno alla grotta c’era sicuramente un villaggio, c’era la vita. La stessa grotta fungeva anche da tempio e al suo interno sono stati trovati vasellame e persino degli scheletri.
Ho provato un’emozione fortissima fin da quando mi han detto ‘Si va!’ Trovarmi davanti ai primi pittogrammi e capire qual è la loro importanza planetaria, essere riuscito a entrare in questo mondo tagliato fuori da tutto, un mondo silenzioso dove tutto è fermo da migliaia di anni è stata una grande emozione.
Per tutti coloro che non hanno la fortuna di entrare nella Grotta dei Cervi, al Castello Aragonese di Otranto è stata allestita una mostra permanente con reperti raccolti e una sala cinematografica trasmette un documentario in 3D che riproduce fedelmente l’interno della Grotta dei Cervi. E sarà un po’ come esserci entrati.