A sud dell’Egitto, da Assuan fino alla confluenza tra Nilo Azzurro e Nilo Bianco, dove oggi si trova Khartum, la capitale del Sudan, si estende la magica regione della Nubia, conosciuta come “la terra dell’oro”, per gli storici siti minerari presi d’assalto dai cacciatori del prezioso metallo fin dai tempi più remoti. Questa affascinante regione storica dell’Africa è però nota anche per i Faraoni Neri e per essere custode di piramidi, templi e rovine che costituiscono un patrimonio unico nel suo genere.
I tesori della Nubia, tra necropoli e piramidi dei Faraoni Neri
A partire dai primi anni del secolo scorso, sono state portate alla luce importanti testimonianze del periodo napateo e meroitico attraverso cui si è tentato di ricostruire la storia della Nubia successiva al regno della XXV dinastia, quella dei Faraoni Neri, che sarebbe durata fino al 653 a.C. Quest’area, che si estende fino alla quinta cateratta e che gli Egizi chiamarono Regno di Kush, è sorprendentemente ricca di siti archeologici e monumenti, attraverso cui si ripercorrono le tracce di un’antica civiltà che fu una sorta di anello di congiunzione tra le genti del bacino Mediterraneo e quelle dell’Africa subsahariana.
Ne è un fulgido esempio la necropoli reale di Meroe, una delle attrazioni più visitate del Sudan. Patrimonio UNESCO dal 2011, questa città millenaria, situata a nord-est di Khartum, custodisce il più ampio sito nubiano di piramidi (in origine ne contava oltre 200) che svettano sulla sabbia dorata del deserto quale simbolo del dominio dei Faraoni Neri. Poiché qui non c’è pericolo di imbattersi in orde di turisti (a differenza dei siti e monumenti presi d’assalto in Egitto) si possono contemplare in tutta tranquillità piramidi tombali di regine e re strutturalmente diverse da quelle egizie, più piccole, recenti e aguzze, benché purtroppo molte siano in cattivo stato di conservazione.
Diversi danni vennero inflitti dall’esploratore italiano Giuseppe Ferlini, che ne demolì oltre quaranta nella sua ricerca di tesori. La città ha lasciato testimonianze epigrafiche in geroglifici e in un proprio alfabeto particolare. Degno di nota è anche il tesoro della Candace, risalente al I sec. a.C., rinvenuto in una tomba della necropoli reale.
Kerma è, invece, uno dei campi di sepolture più antichi dell’Africa e uno dei più estesi siti archeologici della Nubia. In decenni di scavi e ricerche vi sono stati ritrovati numerosissimi oggetti, migliaia di sepolcri e quartieri residenziali. Nel suo Museo sono esposte le sette statue dei Faraoni Neri provenienti dal nascondiglio di Doukki Gel.
A spasso tra i templi della Nubia
Altrettanto suggestiva, Naga conserva i monumenti più significativi e intatti del periodo meroitico. Tra questi, il tempio del dio Amon, con sfingi raffigurate con la testa di ariete poste di fronte all’ingresso principale, e il tempio di Apedemak, un dio-guerriero dalla testa di leone.
Non lontano da Naga, si trova Musawwarat es Sufra con due importanti testimonianze del Regno di Kush: il tempio del Leone, dedicato ad Apedemak, e il complesso chiamato “Grande Recinto” , che racchiudeva tre templi, due dei quali si alzavano sopra piattaforme, circondati da una serie di cortili e da altre costruzioni la cui destinazione risulta tuttora sconosciuta.
Vicino alla moderna città di Karima ci si imbatte nella vasta necropoli di El-Kurru, mentre a meno di 400 km dalla capitale del Sudan si incontra l’area archeologica del Jebel Barkal, la “Montagna Pura”, Patrimonio dell’Umanità dal 2003 e centro spirituale del Regno di Kush, custode di templi in parte ancora inesplorati.
Alle pendici del Jebel Barkal, si può ammirare il tempio rupestre di Mut, dedicato alla compagna del dio Amun. Dal 2013, l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma collabora con la National Corportation of Antiquities and Museums per la salvaguardia del sito Patrimonio UNESCO. Il complesso cantiere di restauro, diretto da Maria Concetta Laurenti, ha consentito il recupero delle straordinarie pitture murali del tempio.
L’appello dell’UNESCO per salvare il patrimonio della Nubia
La creazione del lago Nasser, a valle della diga eretta tra il 1959 e il 1970, mise in pericolo un gran numero di monumenti antichi situati nella regione storica della Nubia, che si estende dal sud dell’Egitto fino al nord del Sudan. Tra questi, anche gli iconici templi di Abu Simbel e quelli dell’isola di File.
Così, nel 1959 i governi dell’Egitto e del Sudan fanno appello all’UNESCO per ottenere il sostegno finanziario e l’aiuto alla realizzazione del salvataggio dei templi della Nubia. Due mesi dopo, nel 1960, il direttore Vittorino Veronese rivolse un appello ai cento stati membri per salvare i monumenti della Nubia. Ad aderire furono una trentina di Paesi, tra cui l’Italia, che crearono dei comitati nazionali per le operazioni sul campo, composti da ricercatori, archeologi, storici, ingegneri, architetti, disegnatori e fotografi.
Si è dovuto aspettare fino al 1964 per dare inizio allo smantellamento dei templi di Abu Simbel, che diventarono il simbolo del salvataggio dei templi della Nubia. Con le tre eccezioni del tempio di Gerf Hussein, del sito di Qasr Ibrim e del tempio di Abu Oda, diversi edifici vennero smantellati e, dopo il trasferimento, ricostituiti in 6 gruppi, di cui 5 in Egitto e 1 in Sudan. Quattro templi vennero donati a Spagna (tempio di Debod), Stati Uniti (tempio di Dendur), Paesi Bassi (tempio di Taffa) e Italia (tempio di Ellesija), in segno di riconoscimento per la collaborazione attiva nelle operazioni di salvataggio.
Oltre a mettere in salvo i templi della Nubia, vennero svolti altri interventi che permisero di terminare scavi iniziati in precedenza e salvare un enorme patrimonio fino ad allora sconosciuto. A Faras, importante centro della Nubia cristiana, furono ad esempio rinvenuti forni per la ceramica, due cappelle e 169 dipinti murali. Di recente, nel corso di scavi nella cattedrale è stato portato alla luce un affresco databile al VIII o al IX secolo raffigurante Sant’Anna.
Di recente, nel sito di Old Dongola sono stati rinvenuti i resti di quella che potrebbe essere la più grande chiesa conosciuta della Nubia medievale, probabilmente sede di un arcivescovo che governava la gerarchia ecclesiastica su di un territorio che si estendeva su mille chilometri lungo le rive del Nilo, tra la prima e la quinta cateratta.