Ritrovato il tempio sommerso di una fiorente ed enigmatica civiltà

Una lastra di marmo bianco rivela la presenza in Italia di una fiorente ed enigmatica civiltà araba ai tempi dell'Impero Romano: i quesiti aperti

Pubblicato: 2 Settembre 2023 10:29

Flavia Cantini

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Il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, area nota fin dall’antichità per la sua attività vulcanica nel cuore del placido Golfo di Napoli, è un “museo sottomarino” che non finisce mai di sorprendere e di portare alla luce nuove scoperte.

Questa volta, a riemergere è un tempio sommerso, nella zona di Puteoli, che ci mostra il ruolo fondamentale delle attività commerciali della tribù araba dei Nabetei, i fondatori della magnifica città di Petra in Giordania.

L’altare ritrovato nel Golfo di Napoli

Sommersi da circa uno o due metri d’acqua, i resti dell’antica città di Puteoli sono composti da parti di pavimenti in pietra, pilastri e mura ormai cadenti: nel 2021, durante un’immersione, Michele Stefanile, archeologo dell’Università di Napoli, insieme al collega Michele Silani dell’Università Vanvitelli, hanno scoperto una lastra di marmo bianco al di sotto di un cumulo di sabbia e pietre.

Più tardi, tornati a rimuovere i detriti, hanno notato che la lastra portava incise iscrizioni in latino, dedicate a una divinità venerata ben duemila anni fa nei deserti delle attuali Arabia Saudita e Giordania: è stato quindi chiaro che si trattava di un altare.

Durante una recente conferenza stampa, i funzionari del Ministero della Cultura hanno dichiarato che l’altare sommerso faceva parte di un tempio nell’avamposto più a occidente della tribù dei Nabetei, mercanti e commercianti che vivevano nel deserto e che prosperarono nella periferia est dell’Impero Romano a partire dal IV secolo d.C.

L’enigma dei Nabetei

L’enigmatica tribù dei Nabetei, nel periodo di maggior splendore, svolgeva un ruolo cruciale di collegamento commerciale tra i beni di lusso provenienti dall’Oriente e l’Impero Romano.

Già Plinio il Vecchio riportava che il ceto ricco inviava, ogni anno, ingenti somme di denaro in Arabia, Cina e India per acquistare ambite merci quali seta, spezie e incenso.

Avendo il controllo del passaggio dei beni attraverso il deserto, i Nabetei fondarono un regno che incanta ancora oggi nelle sontuose rovine di Petra, in Giordania, e di Hegra, in Arabia Saudita.

E, in Italia, la maggior parte del commercio arabo arrivava al porto di Puteoli, al largo dell’odierna costa di Pozzuoli, il porto più importante del primo Impero Romano.

L’altare scoperto da poco (con un altro ritrovato nelle vicinanze) dimostra, quindi, che i Nabetei erano presenti a Puteoli ma apre anche a un enigma: non possedendo abilità di navigazione né porti propri, com’è possibile che siano salpati attraverso il Mediterraneo e approdati a Puteoli per avviare lì le loro attività commerciali?

Una presenza concreta a Puteoli

Tuttavia, gli esperti ritengono che i Nabetei fossero una “presenza concreta” a Puteoli.

Questo perché, impiegando droni e scansioni laser per mappare le rovine sommerse dall’alto, si è potuto calcolare che gli altari rinvenuti di recente (parte di un grande tempio) duemila anni fa dovevano essere in una zona privilegiata, a meno di 50 metri dal litorale e lungo una delle principali strade che conduceva alla spiaggia.

Il tempio avrebbe così svolto un ruolo chiave per i mercanti Nabetei lontani dalla loro terra, consentendo loro di concludere gli affari e gli accordi sotto la protezione della divinità in cui credevano e di celebrare le cerimonie religiose in spazi sacri.

In più, rappresentava una sorta di “manifesto” che segnalava la presenza dei ricchi mercanti ai potenziali clienti dell’affollato porto e fungeva da “punto di informazioni” per i commercianti Nabetei appena arrivati.

L’archeologo Stefanile e i colleghi stanno eseguendo dei nuovi scavi a Puteoli con l’obiettivo di riportare alla luce le rimanenti rovine del tempio (che sarebbero al di sotto di poche decine di centimetri di sabbia).

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