Il referendum costituzionale decide (anche) il futuro del turismo

Il 4 dicembre 2016 gli italiani saranno chiamati a votare il referendum costituzionale e sulla scheda sarà chiesto di approvare la revisione del titolo V della Costituzione. L’argomento interessa anche il settore turistico

Il 4 dicembre 2016 gli italiani saranno chiamati a votare il referendum costituzionale. Sulla scheda sarà chiesto di approvare la revisione del titolo V della Costituzione. L’argomento interessa anche il settore del turismo. Infatti, dal 2001 sono le Regioni ad avere competenze in questo ambito. Con la revisione del titolo V la competenza in materia sarà centralizzata nelle mani dello Stato e non più delle Regioni. Cosa potrebbe cambiare se si votasse sì?

Lo Stato potrà definire i principi generali e comuni, con una legge quadro nazionale, mentre le Regioni si occuperanno delle norme nel dettaglio. Gli investimenti sul turismo, invece, saranno di competenza sia dello Stato sia delle Regioni.

Oggi ogni Regione ha le proprie regole, le proprie campagne di marketing, il proprio piano dei trasporti, la propria strategia di investimenti. Ciò, ovviamente, non vuol dire che lo Stato non possa intervenire attraverso le sue competenze nella gestione dei beni culturali o tramite le variegate competenze statali che si intrecciano con quelle turistiche. Attualmente la promozione turistica è affidata alle singole regioni, che spesso entrano in competizione l’una con l’altra, ma soprattutto dal punto di vista economico moltiplicano le risorse e i costi impiegati, per esempio, per fiere ed eventi.

La riforma costituzionale ha tra i suoi obiettivi quello di superare questa frammentazione, assegnando allo Stato la competenza in materia di disposizioni generali sul turismo, lasciando comunque alle Regioni il compito di dedicarsi alla valorizzazione e all’organizzazione del turismo a livello regionale.

Di fatto le regioni del Centro-Nord che sono più attive a livello di promozione turistica non avrebbero bisogno dell’intervento dello Stato che, anzi, allungherebbe le procedure decisionali (come del resto accade per tutta la burocrazia italiana). Il problema riguarda soprattutto le regioni del Mezzogiorno, che stentano ancora a organizzarsi in maniera organica ma le cui potenzialità turistiche sono enormi e in gran parte inesplorate. In questo caso sarà lo Stato a prendere in mano le redini.

È importante ricordare che il turismo rappresenta per l’Italia uno dei settori trainanti dell’economia, capace di realizzare più del 10% del prodotto interno lordo nazionale (Pil) e di assicurare un’occupazione per oltre 2,6 milioni di persone (dati del World Travel and Tourism Council).

Ma l’Italia potrebbe fare di più, in quanto non sta valorizzando al meglio le sue potenzialità, mentre altre mete turistiche nel mondo lo stanno facendo benissimo (vedi per esempio la vicina Francia o la Spagna). Basti pensare che il Belpaese è sede del maggior numero di patrimoni tutelati dall’Unesco al mondo, solo per fare un esempio.
Solamente nel 2015 hanno visitato il nostro Paese più di 50 milioni di turisti stranieri e hanno speso oltre 35 miliardi di euro. Anche in questo caso si potrebbe fare di più.