Pietruccio Montalbetti dei Dik Dik racconta la sua Amazzonia

Storico chitarrista dei Dik Dik, Pietruccio Montalbetti avrebbe voluto fare l'esploratore. Oggi i suoi viaggi sono ricchi d'avventure che condivide con i suoi lettori

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Ilaria Santi

Giornalista & Travel Expert

Giornalista, viaggia fin da quando era bambina e parla correntemente inglese e francese. Curiosa, autonoma e intraprendente, odia la routine e fare la valigia.

Storico chitarrista dei Dik Dik, il gruppo musicale nato nel 1965 e mai tramontato nel cuore degli italiani, Pietruccio Montalbetti avrebbe voluto fare l’esploratore.

Oggi, dopo una carriera musicale decennale, può permettersi di esaudire il suo sogno di gioventù e – grazie all’ottimo stato di salute – viaggiare per il mondo alla scoperta di luoghi accessibili a pochi.

Dalle sue incredibili esperienze di viaggio ne sono sortiti alcuni libri, l’ultimo dei quali intitolato “Amazzonia. Io mi fermo qui”. SiViaggia lo ha intervistato.

Il titolo del suo ultimo libro è “Amazzonia. Io mi fermo qui”: perché non si è fermato?
“Un conto è viaggiare, un altro è il piacere di tornare a casa. Io mi fermo qui è il titolo di una nostra canzone. Il mio titolo era diverso… Qui ho vissuto un sogno. La vera giungla amazzonica non è quella del Brasile, che è più facile da raggiungere, ma quella che ho visitato io tra Ecuador e Perù”.

In Amazzonia è venuto a contatto con la tribù dei Jivaro che sono tagliatori di teste: ha avuto paura?
“Non ho mai avuto paura. Loro tagliano le teste solo quando ci sono felle faide tra di loro, non a quelli che arrivano. Ma l’emozione più grande, quella che mi ha fatto sentire un vero esploratore, è stata quella di incontrare una delle tribù più remote al mondo, quella degli Aucas, una tribù che si credeva estinta e che non conosce la civiltà occidentale. Alcuni di loro hanno sei dita nelle mani e nei piedi. Mi sono aggregato a un team di studiosi che andava a cercare questo popolo, ho viaggiato con loro e quando li abbiamo trovati è stato emozionante. Per fare questo però bisogna essere preparati: io mi ero procurato già dei permessi speciali perché non tutti possono andare in questi posti, nel libro spiego come fare per ottenerli”.

Lei viaggia con la macchina fotografica ma senza cellulare: è tranquillo?
“Io cerco l’avventura, in quei posti non c’è la corrente, a cosa mi serve un cellulare se non posso caricarlo? Quando faccio questi viaggi, la prima notte la passo in albergo per riposarmi e per telefonare a casa e dire che sono arrivato. Poi prendo la carta geografica e dico a mia moglie: “Se mi perdo, sono qui”. E vado all’avventura. Certo, delle volte anziché stare via una settimana, come è successo in India, sto via un mese e mezzo… Una volta sono partito per il Messico con un amico e a un certo punto gli ho chiesto: “Tu andresti a Est o a Ovest?” e lui “A Est” e io “Ecco, allora io vado a Ovest”. Non mi interessa neanche il cibo, mangio per vivere, in questi posti ci vuole molto spirito di adattamento, mangio quello che cacciano e pesco quello che pescano loro. Certo, ci vuole un po’ di allenamento., io ho sempre fatto attività fisica, ecco perché a 70 anni sono riuscito a scalare un settemila (nel 2017 ha pubblicato il libro “Settanta a settemila. Una sfida senza limiti di età”, ndr).

Perché ha fatto questo viaggio e cosa ha portato a casa da questa esperienza?
“Ho imparato la modestia: io a Milano giro in autobus e la gente di stupisce. Chiunque può fare un viaggio di questo tipo, ma non deve essere schizzinoso e deve avere spirito di adattamento”.

Uno dei brani più celebri dei Dik Dik è “L’isola di Wight”: è mai stato sull’isola di Wight?
“Non ci sono mai stato e non ci andrò mai, non mi interessa neanche”.

Tra le sue esperienze più significative dal punto di vista musicale c’è stato un forte rapporto con Lucio Battisti: avete mai fatto viaggi di piacere assieme?
“Battisti faceva parte della mia famiglia. Con lui ho fatto delle vacanze, ma non viaggi. Lui, quando ho iniziato a viaggiare, si era già ritirato. Era però un grande ascoltatore e gli raccontavo i miei viaggi e le mie avventure”.

Si considera più un cantautore o più uno scrittore?
“Un po’ tutto. Quando canto penso alla musica, quando viaggio penso ai viaggi. Ho tre Tv ma non le accendo, giusto per capire”.

Sta lavorando a qualche altro libro?
“Il prossimo libro “Enigmatica bicicletta”, sarà un noir ambientato tra il 1938 e il ‘48, durante il periodo delle leggi razziali. La storia è inventata, ma la base storica è reale. Sarà tradotto in altre lingue. Ho scritto anche un favola per bambin, ma anche per grandi. A novembre andrò in qualche isola dell’Oceano Indiano e scriverò un po’. Ma a gennaio vado a Panama per conoscere la tribù degli Embera (gli indigeni di Panama e della Colombia, ndr) ma non so se sarà uno spunto per un altro libro”.

Pietruccio Montalbetti ha già pubblicato i libri “I ragazzi della via Stendhal” (2017), “Io e Lucio Battisti” (2013> e “Sognando la California, scalando il Kilimangiaro” (2011).

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