I luoghi migliori dove fare smart working (e stare in vacanza)

Secondo uno studio di Airbnb, lo smart working ha aperto gli occhi agli italiani che vorrebbero trasferirsi. Ecco dove

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Redazione

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Case al mare o chalet in montagna. A ciascuno il proprio smart working (anche se sarebbe più corretto dire “home working”). Oggi sempre più persone possono lavorare senza doversi recare per forza in ufficio. Basta un pc e una connessione Internet per poterlo fare ovunque e in qualunque momento.

L’unico lato positivo di questa terribile pandemia di Coronavirus che ha colpito tutto il mondo, infatti, è che, tutt’a un tratto, ci siamo accorti di poter fare esattamente le stesse cose che facciamo in un affollato e rumoroso open space stando tranquillamente a casa, in pantofole e senza trucco.

E abbiamo anche scoperto che, con un po’ di buona volontà, possiamo anche unire il dovere al piacere: lavorare otto ore al giorno ma da una località dove finora eravamo soliti trascorrere le vacanze. E non è una scusa. Lo sostengono gli psicologi secondo i quali “Meno pensieri negativi significa più energia e lucidità sul lavoro”. Finora lo abbiamo chiamato “bleisure“, un po’ “business” e un po’ “leisure” (svago). Oggi però non è più il lavoro che ci dà la possibilità di andare in vacanza, ma è la vacanza che ci fa lavorare (e anche meglio).

Secondo uno studio condotto da Airbnb, che di case-vacanza se ne intende, lo smart working ha aperto gli occhi agli italiani: maggiore flessibilità nell’uso degli spazi, liberandosi dalle catene del tran tran casa-lavoro, significa maggior felicità (secondo il 65% degli interpellati) e più tempo per se stessi. Due lavoratori del settore terziario su tre starebbero, infatti, pianificando di lavorare da remoto per un certo periodo di tempo, lontano dalla propria residenza, perché la bellezza del luogo da cui si lavora ha effetti benefici non solo sul benessere psicofisico ma anche sulla produttività e sulla qualità del lavoro stesso.

Dallo studio sembra emergere come la pandemia abbia acceso la voglia di sperimentare un’idea di abitare un po’ più nomade e meno legata alla necessità di risiedere stabilmente in prossimità del luogo di lavoro. Addirittura il 60% ha infatti pensato di trasferirsi (uno su quattro in campagna), e anche in assenza di decisioni permanenti, il 66% ha già in programma per i prossimi mesi di lavorare da remoto lontano dalla propria abitazione, magari approfittando di un periodo di vacanza. Addirittura il 78% ha già deciso che farà di tutto per combinare le due cose in futuro.

Ma dove andrebbero gli italiani a lavorare in modalità home working? Il 34% cercherebbe una sistemazione raggiungibile in giornata in auto dalla propria residenza, meglio se all’interno della stessa regione (20%). Solo il 13% prenderebbe in considerazione un altro Paese europeo. La maggior parte degli italiani sceglierebbe una casa vista mare (il 39%), molti uno chalet in montagna (20%). Qualcuno una casa al lago (13%), qualcun altro un attico in una grande città (7%) mentre c’è chi cambierebbe addirittura città (il 6%).

La conferma sulla scelta degli alloggi arriva anche dalla psicologa Annalisa Valsasina che sostiene che: Una passeggiata nei boschi o sulla spiaggia, anche di soli 20 minuti, in pausa pranzo o immediatamente dopo il lavoro, porta alla diminuzione della formulazione di pensieri negativi e un maggior senso di benessere complessivo”.

La psicologa spiega anche che Lavorare al mare o in montagna non può che fare bene alle persone, al loro stato emotivo e di conseguenza alla loro energia e lucidità di azione sul lavoro”. Non resta che convincere la propria azienda che lo smart working, l’home working, l’agile working o il remote working, comunque lo si voglia chiamare, fa bene a tutti e porta ottimi risultati. All’azienda in primis.