Torino, città di cultura che sa d’Oriente

Scoprire il Museo d'Arte Orientale nel capoluogo piemontese

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Redazione

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Torino non è solo la città dei faraoni. Il Mao, il Museo d’Arte Orientale, con sede nelle sale del Palazzo Mazzonis, rappresenta per capoluogo piemontese la sua antica vocazione orientalistica. Non a caso Nietzsche definì Torino “una via spirituale per l’Oriente”. Anche se la città della Mole Antonelliana vanta un’università che ha alle spalle una grande tradizione di studi sanscritistici, un grande impegno nella ricerca archeologica e istituzioni da sempre sensibili all’incentivazione delle relazioni col mondo orientale. Leggi la Guida Pocket di Torino

Collocato nel cuore del quadrilatero romano della città, il Mao, diretto da Franco Ricca, si distingue per i suoi 1400 metri quadrati di esposizione permanente e le 1500 opere provenienti da diversi Paesi dell’Asia (dall’India al Giappone, dall’Afghanistan al Tibet) con alcuni pezzi di assoluta eccellenza. Tutti capolavori arrivati da preesistenti collezioni e da un’importante campagna di acquisti sostenuta dal Comune di Torino, dalla Regione Piemonte e dalla Fondazione Torino Musei, con la collaborazione della Compagnia di San Paolo.

Già dal portone di accesso della settecentesca residenza nobiliare, situata in via San Domenico, il visitatore si appresta a scoprire un nuovo mondo. E da qui inizia la visita delle sale contenenti le collezioni, suddivise in cinque sezioni fondamentali: l’Asia Meridionale, la Cina, la Regione Himalayana, i Paesi Islamici e il Giappone. La galleria dedicata all’Asia Meridionale, al piano terreno, ospita le collezioni del Gandhara, dell’India e del Sud est Asiatico. Accanto ai fregi del grande stupa di Butkara, frutto degli scavi condotti negli anni ’50 dalla sede piemontese dell’Ismeo, la sezione dedicata al Gandhara ospita una serie di statue in scisto, stucco e terracotta acquistate negli ultimi anni. Nelle sale destinate all’arte indiana sono collocati rilievi e sculture che vanno dal II secolo a.C. al XIV secolo d.C. e comprendono importanti esempi dell’arte Kushana – come la grande testa di Buddha, in arenaria rossa maculata (I – II sec. d. C), una delle più mature testimonianze della scuola di Mathura – dell’arte Gupta e del Medioevo Indiano: tra i pezzi più significativi, in quest’ultimo caso, citiamo una grande stele in arenaria del X – XI sec. d.C. proveniente dall’India centrale, rara immagine buddista dell’epoca raffigurante Tara (la più nota figura femminile del pantheon mahayanico, la salvatrice, ma anche la stella che illumina il cammino), e una scultura dalla ricca composizione e dall’elegante ornato, proveniente dall’India nord-orientale e riconducibile allo stile Pala-Sena, che presenta Shiva (Maheshvara) e la consorte Parvati (Uma). Del Sudest Asiatico il Mao offre esempi dell’arte thailandese, birmana e cambogiana, che riflettono l”troduzione di iconografie e stili di origine indiana, ma anche le elaborazioni originali seguite alla fine degli stati indianizzati. Sono presenti sculture Khmer in pietra provenienti dall’area di Angkor e, accanto a queste, opere birmane e thailandesi in legno e in bronzo, laccate e dorate, che vanno dal X al XVIII secolo. Monumentale – tra gli esempi che si possono ricordare – la scultura lignea di un Buddha coronato (XIII sec. d. C.) dai canoni stilistici della scuola di Pagan: alta oltre 180 cm, l’opera risulta intagliata in un unico tronco.

La Galleria Cinese, al primo piano del corpo centrale, ospita oggetti d’arte della Cina antica dal 3.000 a.C. al 900 d.C. circa, con vasellame neolitico, bronzi rituali, lacche e terrecotte. Cultura e costumi dei periodi Han (206 a.C.-220 d.C.) e Tang (618-907) sono documentati da oltre duecento oggetti e statuette dell’arte funeraria, fra le quali compaiono le figure di cammellieri e mercanti che rivelano l’influenza esercitata dal mondo occidentale attraverso la Via della Seta. Interessanti nelle collezioni del Museo torinese qui esposte un vaso yunjiu zun sul tema della montagna popolata da immortali, un recipiente particolarmente raro per l’impugnatura del coperchio formata da un uomo piuma, il cui processo di metamorfosi da umano a uccello appare raramente così ben sottolineato; e ancora un bellissimo cavallo fittile della prima metà del VI secolo d.C, parte di un corredo funerario, riferibile alla dinastia Wei settentrionale, estremamente pregevole per eleganza e grazia. Ma tra gli oggetti più importanti della collezione cinese del Mao, non vanno dimenticati una preziosissima brocca con coperchio a testa di fenice in gres porcellanato, con invetriatura verde-gialla, riconducibile alla Dinastia Sui (inizio VII secolo d.C.) – un manufatto bellissimo, il cui coperchio e la cui ansa (configurata come un lungo drago) sono plasmati a mano, paragonabile fino ad oggi soltanto ad un altro esempio conosciuto e conservato al Museo del Palazzo Imperiale di Pechino – e la statuina fittile di uno straniero dal volto velato ( forse un cammelliere persiano o, secondo altri, un sacerdote zoroastriano intento ad officiare il rito del fuoco), pezzo assolutamente unico probabilmente modellato a mano, ove di solito le statuine funerarie Tang sono invece realizzate a stampo.

Al secondo piano, nella sezione dedicata alla Regione Himalayana, sono collocate importanti collezioni di quell’arte buddhista tibetana che efficacemente traduce in pitture e sculture le radicali innovazioni introdotte nel Buddhismo dal diffondersi dei tantra. Questa produzione, che naturalmente risente l’influenza della cultura e dell’arte indiane e cinesi, inevitabilmente manifesta un certo sincretismo, ma risulta tuttavia originalissima nelle straordinarie creazioni iconografiche che strettamente seguono ad ogni nuova visionaria interpretazione dottrinale emergente dalle pratiche tantriche. Si trovano fra tali opere sculture in legno e in metallo, strumenti rituali riccamente decorati e numerosi dipinti a tempera su tessuto (thang-ka) databili dal XII al XVIII secolo. Il museo dispone inoltre di due preziosi manoscritti del XV secolo e possiede una delle maggiori raccolte europee di copertine lignee dei volumi del Canone Buddhista Tibetano (bKa’-‘gyur) intagliate e dipinte. Le distruzioni operate in Tibet nel corso della Rivoluzione Culturale cinese hanno disperso una parte notevole dello straordinario patrimonio artistico del paese che, giunta in Occidente, vi ha tuttavia creato vivaci motivi di studio e di interesse. Al Mao, fra altri suoi tesori, si trovano importanti frammenti in bronzo dorato provenienti dai 18 grandi stupa di gDan-sa-mthil, il più importante centro politico-religioso del Tibet alla metà del XV secolo.

Una ricca collezione di vasellame e piastrelle invetriate per la decorazione architettonica – a evocare i suggestivi scenari delle grandi costruzioni di Isfahan, Samarcanda e Istambul – è invece esposta nella galleria del terzo piano dedicata all’arte dei Paesi Islamici.L’arte islamica, il cui punto di partenza va individuato nell’incontro del mondo arabo con le progredite civiltà artistiche bizantina e sasanide, ha manifestato nella produzione ceramica una meravigliosa fertilità nello sviluppo di motivi decorativi: oltre all’ornato geometrico che esplora tutte le possibilità della simmetria piana e accanto all’arabesco che richiama elementi fitomorfi del mondo tardo-antico, si sviluppano nell’arte islamica un’elegante decorazione calligrafica e un repertorio figurativo che ricalca in particolare le tipologie sasanidi. Le collezioni del museo illustrano l’evoluzione della produzione ceramica dal IX al XVII secolo, sottolineando le interazioni stabilite con la porcellana cinese e l’influenza esercitata sulle maioliche e faenze italiane. Il Museo d’Arte Orientale possiede inoltre pregevoli raccolte di bronzi, meravigliosi testi manoscritti arabi – fra i quali trovano posto in particolare pagine del Corano tracciate in eleganti caratteri cufici, su pergamene del X secolo – preziosi volumi miniati persiani del XVI secolo e un’importante collezione di velluti ottomani degli inizi del XVIII secolo.

Infine il Giappone. Nelle due sale al primo e secondo piano della manica laterale sono offerti al visitatore significativi esempi della raffinata produzione artistica giapponese. Qui trovano posto importanti statue lignee di ispirazione buddhista (dal XII al XVII secolo) – come l’imponente Kongo Rikishi (h. 230) scolpito in legno di cipresso, raffigurante un dvarapala (guardiano del monastero), straordinario esempio di scultura del periodo Kamakura (XIII secolo) – ed eccezionali paraventi (degli inizi del XVII secolo) che descrivono templi ed edifici dell’antica Kyoto e illustrano eventi dell’epica giapponese. In particolare: due grandi paraventi di 382 x 152 cm l’uno, risalenti al periodo Edo (metà del XVII secolo) e attribuibili ad un artista della scuola Tosa, descrivono con colore, inchiostro e foglia oro, le battaglie di Ichinotani e Yashima con una cura straordinaria dei particolari; mentre un’altra coppia di paraventi è dedicata alle figure del Drago e della Tigre, evocatori della primavera e dell’autunno (il drago designa l’Est, abita i cieli e simboleggia la pioggia fecondatrice; la tigre designa l’Ovest e simboleggia la terra nutrice), riconducibili alla scuola di Kishi Ganku e almeno in parte al maestro stesso. Sono inoltre esposti ventagli dipinti e xilografie policrome in gran parte assegnabili al XVIII secolo, insieme con una ricca collezione di oggetti laccati di raffinata fattura ed a tre splendide armature di samurai dello stesso periodo.

Un corpus espositivo dunque di assoluto rilievo che cambia il volto della città sede anche del Museo Egizio, unica istituzione al mondo, dopo quella del Cairo, interamente dedicata all’arte e alla cultura della terra dei faraoni.